IL NOTIZIARIO

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LE NOTIZIE DAL GIORNO Sunday 22 January 2023 AL GIORNO Sunday 29 January 2023 SU: esteri




TITOLO: Armi all’Ucraina, Crosetto: «Italia pronta a fare la propria parte. Kiev soddisfatta del nostro aiuto»
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OCCHIELLO: Il ministro della Difesa e le forniture militari: «Continueremo a dare il nostro contributo per la democrazia e la libertà». Ma non si sbilancia sui sistemi anti-aerei Samp-T
TESTO: Che cosa chiede l’Ucraina all’Italia? «L’Ucraina continua a chiedere la possibilità di difendersi dagli attacchi missilistici aerei e di difendersi dalla controffensiva russa che dovrebbe scattare con il passare dell’inverno e l’inizio della primavera. Sappiamo che la Russia sta formando 300 mila nuove reclute e che si sta preparando a sferrare un attacco terrestre. Nel giro di poche settimane, dunque, l’Ucraina si troverebbe nella necessità di proteggersi su un doppio fronte. Ecco perché da qualche mese Zelensky continua a chiedere sistemi per la difesa aerea e mezzi per coprirsi via terra, come i carri armati, blindati e veicoli per il trasporto truppe. Inoltre resta forte la richiesta di materiale per uso civile, come i gruppi elettrogeni, le tende, il vestiario».
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TITOLO: Polonia, il mistero dei tre sub «spagnoli»: spie, narcos o semplici imprudenti?
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OCCHIELLO: Una settimana fa i servizi di soccorso hanno aiutato una imbarcazione travolta da una tempesta al largo di Danzica. Dei protagonisti non si sa nulla: restano molti interrogativi
TESTO: I media, intanto, indagano. Scoprono che gli «spagnoli» hanno preso in affitto una stanza dal giorno 16 in una struttura di Wdzydze Tucholskie, località dell’interno ad un’ora di distanza da Danzica. Il giorno del «giallo» raggiungono Ilawa — cittadina non proprio vicina al mare — dove acquistano il battello di seconda mano dopo aver visto un annuncio online. Chiedono anche un carrello per il trasporto e ripartono verso Danzica. I giornalisti accertano che gli strani personaggi hanno noleggiato l’equipaggiamento da sub in centro diving di Gydnia. Il titolare aggiunge: volevano comprare una barca e hanno chiesto se noi «uscivamo» ma gli abbiamo risposto che nel fine settimana le condizioni meteo erano proibitive, ad ogni modo sembravano clienti normali. Le testimonianze non aiutano molto, si evince solo una certa fretta, una spedizione chiusa dal grande rischio di avventurarsi nonostante il tempo pessimo.
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TITOLO: Brigata Wagner cos’è: dove agisce, quanto paga, cosa c’entra il nazismo
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OCCHIELLO: Fondata nel 2013 dall’oligarca Prigozhin («il cuoco di Putin») e da un ex colonnello del Gru (il servizio di intelligence di Mosca) nostalgico di Hitler. Il salario dei mercenari è cinque volte quello di un militare di Mosca
TESTO: * La nascita - Il 2013 è l’anno in cui comincia operare un gruppo di miliziani professionisti che poi darà vita alla vera e propria brigata Wagner. Funziona all’inizio come forza di sicurezza per società che ottengono appalti. Due personaggi possono esserne considerati i padri fondatori. Il primo è Evgeny Prigozhin, sbrigativamente definito «il cuoco di Putin», perché è attivo nel settore della ristorazione ma soprattutto perché molto dentro la cerchia dei più stretti collaboratori dello «zar». In realtà è dunque un potente oligarca che funge da manager e «braccio politico» della brigata Wagner. Meno conosciuto ma altrettanto importante, è Dimitrj Utkin, fino al 2013 tenente colonnello del Gru (il servizio di intelligence di Mosca): è considerato l’anima militare della brigata, il primo responsabile delle operazioni sul terreno. Sia Prigozhin che Utkin sono sottoposti a sanzioni da parte di Usa e Ue.
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TITOLO: Xi Jinping: contrordine compagni, viva il capitalismo
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OCCHIELLO: Voltafaccia «storico» del leader cinese: a favore finalmente delle imprese private.
TESTO: Tutto cominciò con la caccia ai miliardari accusati di essere corruttori o semplicemente troppo opulenti; poi proseguì con un giro di vite contro Big Tech; si aggiunsero delle restrizioni generali agli investimenti esteri. In tutte quelle offensive le motivazioni ufficiali erano nobili, e almeno in parte fondate. La corruzione esiste e certi imprenditori si sono fatti strada a suon di tangenti. Big Tech in Cina è stato protagonista di eccessi quanto in America: abusi di posizioni dominanti, comportamenti sfacciatamente monopolistici, sfruttamento dei dipendenti, saccheggio della privacy dei consumatori. Negli investimenti esteri c’è stata scarsa cautela e alcune aziende cinesi hanno fatto operazioni sbagliate. Però dietro le intenzioni apparentemente nobili, Xi ha praticato una caccia alle streghe, ha regolato i conti con avversari politici, ha perseguitato imprenditori che sembravano fargli ombra o non obbedire abbastanza al partito comunista. Ho raccontato la vicenda di Jack Ma, il fondatore di Alibaba costretto a farsi da parte. Xi negli ultimi anni ha finito per creare un’atmosfera troppo ostile all’impresa privata e ha praticato un sistematico favoritismo verso le aziende di Stato. Questo non può che penalizzare il dinamismo e la creatività che hanno alimentato la crescita cinese dell’ultimo trentennio. Se vi si aggiungono i venti contrari che soffiano da Occidente sulla globalizzazione, c’è di che essere pessimisti sulle prospettive dell’economia cinese nel medio-lungo periodo.
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TITOLO: «Mia figlia, rapita a 4 anni. Portata in Libia dal padre, non l’ho più sentita»
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OCCHIELLO: La denuncia della madre Federica Federici da Roma. Gli avvocati: la Libia non ha firmato le convenzioni per le sottrazioni di minore
TESTO: Quando Federica scopre di essere incinta torna in Italia e anche il marito la segue. Nel 2017 la coppia si sposa con rito civile e all’inizio del 2018 nasce la bambina. Tutto sembra filare liscio ma Mohamed non impara la lingua italiana e non riesce (o non vuole) trovare lavoro. Così comincia ad essere insoddisfatto, esce di casa la mattina e ritorna la sera. Con la bimba passa pochissimo tempo. E diventa ossessivo sulla religione: «Si lamentava in continuazione, mi faceva sentire non adatta, diceva che non ero una buona musulmana. Alla fine mi sono allontanata da tutto. Non ho visto più gli amici, ho chiuso i miei account sui social media». Per non essere considerata «impura» dal marito la donna rinuncia al fumo, all’alcol e alla carne di maiale. Ma le richieste diventano sempre più pressanti, come quella di passare il Natale in un Paese musulmano per non sentire la festività cattolica. La coppia, comunque, tira avanti e Federica continua a fidarsi del marito tanto che l’uomo porta diverse volte la bambina con sé in Libia e, nel 2021, si unisce a loro anche lei: «Ho conosciuto i genitori e ho passato tempo con la sorella che consideravo un’amica. Ora nessuno di loro risponde alle mie telefonate».
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TITOLO: Meloni, viaggio in Algeria per arginare Russia e Cina
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OCCHIELLO: La visita al primo fornitore di gas per l’Italia che qui difende anche gli interessi europei
TESTO: L’Algeria è due volte strategica per l’Italia. Ci vende gas a basso costo e ce ne vende tanto. È il nostro primo fornitore, con un’impennata dei flussi che è arrivata a superare il 40% del nostro fabbisogno, sostituendo una buona fetta del nostro import dalla Russia. Eppure l’Algeria che vedrà da oggi la visita della presidente del Consiglio — prima tappa di una serie di missioni che la vedranno andare poi a Stoccolma, Berlino, Bruxelles, Tripoli e Kiev — è anche, in Africa, la prima acquirente di armi di fabbricazione russa. La terza al mondo, dopo India e Cina. È anche lo Stato che appena due mesi fa ha bussato alle porte dei Brics, il circuito economico che vede Mosca e Pechino in prima linea, senza dimenticare gli investimenti cinesi nel Paese, destinati a crescere.
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TITOLO: «La nuova guerra patriottica»: a Mosca esercitazioni e retorica richiamano il Secondo conflitto mondiale
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OCCHIELLO: Una grande mostra itinerante celebra le storie degli eroi di ieri e quelle di oggi
TESTO: Perché il messaggio che deve passare è questo. Una sovrapposizione completa tra le guerre contro gli invasori occidentali e quella che si sta combattendo in Ucraina. Anch’essa decisiva per il futuro della Russia. «Qualcuno poteva immaginare che nell’eroica terra del Donbass otto decenni dopo si sarebbe ancora combattuto a morte il nazismo? Durante la Grande Guerra Patriottica, migliaia di militi dell’Armata Rossa furono insigniti del titolo di eroi dell’Unione Sovietica per il coraggio e il valore dimostrati nel corso della liberazione del Donbass. Oggi i nipoti e i pronipoti della generazione dei Vincitori hanno dovuto mettersi di nuovo alla difesa della stessa verità e del diritto di parlare la lingua russa, della conculcata memoria storica, della propria terra e dei propri cari».
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TITOLO: Usa, perquisita la casa di Biden: trovati altri 6 documenti top secret
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OCCHIELLO: Il dipartimento di giustizia ha ispezionato l’abitazione privata del presidente degli Stati Uniti a Wilmington, in Delaware
TESTO: I media sottolineano la differenza tra questo caso e quello dei file sequestrati nell’abitazione privata di Donald Trump in Florida: l’ex presidente è indagato per ostruzione di giustizia e aveva tenuto circa trecento documenti, mentre quelli in possesso di Biden sono ora in totale una trentina. Ma allo stesso tempo l’immagine della residenza privata di un presidente degli Stati Uniti in carica che viene perquisita dall’Fbi e il fatto che si tratta del quinto ritrovamento di carte riservate rimaste in possesso di Biden è motivo di forte imbarazzo di fronte al tribunale dell’opinione pubblica.
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TITOLO: Kalinin, il disertore russo che per evitare la mobilitazione di Putin ora vive nella foresta
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OCCHIELLO: La storia del dissidente 30 enne esperto informatico raccontata dalla BBC. «Qui tra gli alberi le autorità non mi possono consegnare la notifica della chiamata al fronte»
TESTO: Per accedere a internet usa un’antenna legata a un albero e alimentata dai pannelli solari. Sopportando temperature rigidissime, fino -11°C, l’uomo sopravvive grazie alle scorte di cibo che gli vengono portate regolarmente dalla moglie. Vivere fuori dalla mondo — dice — è il modo migliore che gli viene in mente per evitare di essere richiamato. «Se le autorità non sono fisicamente in grado di condurmi all’ufficio di arruolamento, al 99 per cento io mi posso difendere contro la mobilitazione o altre molestie». Kalinin non ha ricevuto una convocazione. Ufficialmente gli impiegati dell’IT come lui sono esentanti dalla leva ma in molti casi sono stati segnalati abusi. E se prima il conflitto sembrava lontano, ora è quasi impossibile da ignorare per i russi. Ed è per questa ragione che ora molti come lui hanno paura. «Viviamo in uno stato totalitario diventato sempre più potente. Negli ultimi sei mesi, le leggi sono state introdotte a un ritmo incredibile. Se una persona ora parla contro la guerra, lo Stato immediatamente la persegue».
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TITOLO: California, sparatoria a Monterey Park durante il Capodanno Cinese: almeno nove vittime
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OCCHIELLO: Spari a a Monterey Park, a est di Los Angeles: nove vittime. Nella zona erano in corso le celebrazioni per il Capodanno Cinese
TESTO: Monterey Park, 60 mila abitanti, si trova a 15 km da Los Angeles. La città ospita una nutrita comunità sino-americana: le celebrazioni per il Capodanno Cinese, dunque, sono particolarmente partecipate. Le persone di ascendenza asiatica, negli Stati Uniti, sono spesso oggetto di episodi di intolleranza che, nei casi più estremi, sfociano anche nella violenza: negli ultimi anni, i crimini di odio contro le minoranze asiatiche sono aumentati in tutto il Paese. Poco più di un anno fa, ad Atlanta, in Georgia, un uomo ha ucciso otto persone, di cui sei asiatiche, in tre diverse sparatorie avvenute in centri benessere della zona: si ritiene che l'omicida, il 22enne Robert Aaron Long, abbia deliberatamente preso di mira donne di origine asiatica. L'uomo si è già dichiarato colpevole dell'uccisione di quattro delle sue vittime ed è stato condannato all'ergastolo. Il processo per i restanti quattro omicidi è atteso nel 2023.
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TITOLO: George Santos: madre, lavoro e college, tutte le bugie del deputato Usa
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OCCHIELLO: Stati Uniti, le bugie sulla madre e sul lavoro. Ma ai Repubblicani serve il suo voto e non pensano di cacciarlo, anzi: gli danno un posto in due commissioni della Camera
TESTO: New York - È la versione politica di Frank Abagnale, che finse di essere stato pilota della PanAm, medico e procuratore, come raccontò in Prova a prendermi, diventato anche un film. È la versione maschile di Anna Sorokin, alias Anna Delvey, che si finse ereditiera per accedere all’alta società newyorkese. A differenza di Abagnale e Sorokin, George Santos non è stato condannato per frode, finora. Si presenta ogni giorno al Congresso, dove lo speaker repubblicano Kevin McCarthy lo ha appena nominato membro di due commissioni della Camera (Scienza e Piccole imprese). E questo nonostante un dipendente di Santos abbia finto di essere il capo dello staff di McCarthy per raccogliere fondi per la sua elezione nel terzo distretto di New York a novembre. Ma lo speaker ha bisogno di ogni voto, data la risicata maggioranza repubblicana. E il deputato, indagato per le bugie relative a ogni aspetto del curriculum e sull’origine dei 700 mila dollari con cui ha finanziato la sua campagna, non ha intenzione di lasciare: «Ho abbellito il curriculum» dice «ma non ho commesso alcun crimine».
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TITOLO: Ucraina, il calendario della guerra e lo scenario cupo dei generali americani
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OCCHIELLO: Dopo lo stallo dell’inverno, in primavera riprenderanno i combattimenti: per questo Zelensky chiede altre armi. E il fronte pronto a inviarle si allarga (anche se pesa il rinvio della Germania)
TESTO: Nello stesso tempo la coalizione occidentale deve attrezzarsi a reggere nel lungo periodo. Non è facile: è un po’ come prepararsi per correre sia i centro metri che la maratona. In questo senso, come ha detto Zelensky, il «tempo è ormai un’arma strategica, esattamente come i jet e l’artiglieria». L’interpretazione dell’almanacco bellico ha innescato un contrasto politico, dagli effetti potenzialmente insidiosi. Nel summit di Ramstein, uno schieramento sempre più largo ha accolto il messaggio di drammatica urgenza, comunicato da Zelensky e rilanciato da Austin. A fianco degli Stati Uniti troviamo non solo il Regno Unito, la Polonia e i Baltici. Vale a dire i Paesi più interventisti fin dal primo giorno di guerra. Adesso, però, ci sono anche Canada, Svezia, Olanda, Danimarca, Norvegia e, come ha dichiarato il ministro della Difesa Guido Crosetto, anche l’Italia. Ecco perché il rinvio della decisione tedesca sull’invio dei panzer Leopard 2 ha suscitato non solo clamore, ma anche preoccupazione. Nei prossimi giorni molti governi, a cominciare da quello americano, chiederanno al cancelliere tedesco Olaf Scholz di concentrarsi sull’anno giusto. Non sulle cicatrici del 1941 (l’attacco nazista alla Russia), ma sui gravi pericoli in arrivo nel 2023.
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TITOLO: Strage di Monterey in California, le piste: la ricorrenza del Capodanno cinese, le armi e gli altri massacri
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OCCHIELLO: La polizia batte più strade: il killer sarebbe asiatico e avrebbe colpito con un fucile. Si cerca un possibile «testamento» online
TESTO: L’America è insanguinata da massacri, ognuno con la sua matrice. Alcuni non ne hanno una precisa, è l’atto stesso a diventare la «ragione». Dopo la pandemia Covid singoli cittadini e comunità «cinesi» — definizione ampia — sono diventati target, con alcuni episodi dove persone inermi sono state prese davanti casa, per strada, nel metrò. Diverso quanto è avvenuto a Laguna, sempre in California, nel mese di giugno. David Chou, origini taiwanesi, ha assassinato un medico anche lui taiwanese durante una riunione in una chiesa. A innescarlo il rancore verso l’isola, l’appoggio alla riunificazione inseguita da Pechino, note politiche mescolate ad una rabbia individuale gonfiata da rovesci personali. Prova evidente di come la minaccia possa nascondersi dietro tante maschere.
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TITOLO: Carlo in divisa per l’incoronazione. Tutti i piani per la cerimonia del Re
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OCCHIELLO: Niente tenuta di gala, ma una divisa militare per l’incoronazione che la Royal household ammette sarà solenne. A Westminster Abbey il 6 maggio, concerto da Windsor il 7, Big Lunch e party di strada e gran finale dedicato alla forza del mondo del volontariato
TESTO: Quanto alla coralità che farà il paio con la solennità dell’evento, re Carlo ha voluto coinvolgere anche il mondo del volontariato al quale sarà dedicata la giornata dell’8 maggio. Il volontariato - allargato a tante sensibilità religiose, ispirazioni umanitarie - è una realtà da sempre molto vicina al cuore del nuovo sovrano. Non si può dimenticare che Carlo gettò le radici della sua prima fondazione benefica uscito dal servizio in Marina, e impiegando la sua buonuscita come racconto nel nuovo libro «Carlo III, il cuore e il dovere del re» (Cairo).
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TITOLO: California, sparatoria a Monterey Park durante il Capodanno Cinese: dieci vittime, il killer suicida
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OCCHIELLO: Spari in un locale a est di Los Angeles: dieci vittime, numerosi feriti. Una seconda sparatoria, senza feriti, sarebbe avvenuta in un’altra sala da ballo poco lontano
TESTO: «Doveva essere una notte gioiosa, di celebrazione del Nuovo anno», ha dichiarato il governatore della California Gavin Newsom, facendo le condoglianze alla comunità. Tony Lai, 35 anni, che abita vicino al luogo dell’attentato, si è detto sconvolto: aveva sentito rumori nella notte, ma credeva fossero fuochi d’artificio. Il presidente Biden, che ieri ha condannato questo «attacco insensato», ha sostenuto in passato la necessità di bandire le armi d’assalto nelle città americane. La California ha alcune delle leggi più rigide della nazione in proposito (l’arma usata dalla strage è illegale nello stato secondo lo sceriffo Luna) ma lo stesso sceriffo ha sottolineato che «è chiaro che questo non è abbastanza». Nonostante la recente approvazione di modeste misure bipartisan al Congresso, una legge più restrittiva sul controllo delle armi non si è materializzata, in una nazione in cui ci sono oggi più armi che persone. Un terzo degli adulti negli Stati Uniti possiede almeno un’arma, metà vivono in una casa dove un’arma è presente.
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TITOLO: Sparatoria California, il mistero del secondo assalto e l’assalitore disarmato da un cliente: «Ha tra i 30 e i 50 anni»
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OCCHIELLO: Il killer è stato descritto dalla polizia come un uomo di origine asiatica
TESTO: I festeggiamenti del Capodanno lunare a Monterey Park sono famosi in California, durano due giorni e attirano decine di migliaia di persone, ma gli eventi di oggi sono stati cancellati. Tony Lai, 35 anni, uscito al mattino per una passeggiata si è detto sconvolto dalla notizia della sparatoria: aveva sentito rumori nella notte e credeva fossero fuochi d’artificio. «Doveva essere una notte gioiosa, di celebrazione del Nuovo anno», ha scritto il governatore della California Gavin Newsom facendo le condoglianze alla comunità su Twitter. Il presidente Biden ha parlato apertamente in passato della necessità di vietare i fucili d’assalto negli Stati Uniti, ma nonostante modeste misure bipartisan per il controllo delle armi, il Congresso non ha trovato l’accordo per una legge più dura, in una nazione in cui ci sono più armi che persone. Un terzo degli adulti possiede almeno un’arma, metà vive in una casa dove è presente un’arma.
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TITOLO: L’obiettivo e l’attacco: la polizia indaga in ogni direzione sulle motivazioni
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OCCHIELLO: Per la strage di Monterey Park gli investigatori sono partiti dalla pista «razziale», ma non escludono altre ipotesi. Rinforzate le misure di prevenzione in altre città Usa a tutela della comunità asiatica
TESTO: L’America è insanguinata da massacri, ognuno con la sua matrice. Alcuni non ne hanno una precisa, è l’atto stesso a diventare la «ragione». Dopo la pandemia Covid i «cinesi» – definizione ampia – sono diventati target e infatti, subito dopo la sparatoria di Monterey Park sono state rinforzate le misure di prevenzione in altre città Usa a tutela della comunità asiatica. Diverso quanto è avvenuto a Laguna, sempre in California, nel mese di giugno. David Chou, origini taiwanesi, ha assassinato un medico anche lui taiwanese durante una riunione in una chiesa. A innescarlo il rancore verso l’isola, l’appoggio alla riunificazione inseguita da Pechino. Note politiche mescolate ad una rabbia individuale gonfiata da rovesci personali. Prova evidente di come la minaccia possa nascondersi dietro tante maschere, con derive inattese decise da figure instabili.
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TITOLO: Documenti classificati a casa di Biden: il presidente è più vulnerabile ma non si lascerà fermare
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OCCHIELLO: Trump punta sull’equivalenza dei casi, ma legalmente non è così: prime schermaglie in vista delle presidenziali del 2024
TESTO: Ma il presidente, che ha promesso fin dall’inizio trasparenza e la piena autonomia del ministro della Giustizia, avrebbe bisogno di archiviare rapidamente almeno la pagina giudiziaria del caso. Qui le cose sono state complicate dalle ombre per i ritardi nel rendere pubblici i primi ritrovamenti, a novembre, mentre sulla speranza di una rapida conclusione dell’indagine pesa la recente decisione del ministro, Merrick Garland, di nominare un procuratore speciale anche per questo caso. Robert Hur, un magistrato che fu scelto da Trump come procuratore del Maryland, non è ancora nemmeno entrato in carica: la perquisizione di venerdì scorso è stata gestita da un altro magistrato. Tempi lunghi, dunque: mentre si allontana la possibilità di un’incriminazione di Trump, almeno a livello federale, Biden è più vulnerabile.
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TITOLO: Ucraina, nella clinica per la fecondazione assistita dove ora conservano il seme degli eroi
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OCCHIELLO: Una paziente: «Se mio marito muore al fronte, potrò comunque avere dei figli da lui. Non lo vedo da febbraio». Questa settimana il Parlamento di Kiev discuterà una legge per regolamentare le nascite postume
TESTO: Anche a costo di far nascere bambini orfani di padre o di madre? Iaroslava non ha dubbi. «La Russia manda a combattere la feccia della sua società, criminali, galeotti. Noi per difendere il Paese stiamo sacrificando la nostra meglio gioventù. Il mio Ievgheny ha 27 anni, è già avvocato, intelligente, buono, con saldi principi morali. Bello anche, certo. Adesso è in Polonia ad addestrarsi con un reparto di mezzi corazzati occidentali. È ingiusto che, Dio non voglia gli succeda qualcosa, non rimanga più nulla di lui su questa terra. Se dovesse morire, non è giusto. Allora a dicembre l’ho convinto. Ha chiesto due giorni di permesso, ha fatto tutto il viaggio dal fronte sino a questa clinica e ha congelato il liquido seminale. Secondo il dottore ne abbiamo abbastanza per avere con certezza almeno due bambini. Vorrei che ce ne fosse di più».
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TITOLO: Jeff Zients sarà il nuovo chief of staff di Biden, dopo l’addio di Klain
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OCCHIELLO: Momento delicato per l’amministrazione Biden, lascia il «primo ministro» Klain. Al suo posto Jeff Zients, che ha coordinato la gestione della pandemia ed è fuori dal cerchio magico di Biden
TESTO: Il 61enne Klain è il primo membro della cerchia più stretta di Biden a lasciare l’amministrazione, mentre Trump cambiò quattro capi di gabinetto in quattro anni (il primo, Reince Priebus, durò 192 giorni). A parte i riassestamenti nel team della vicepresidente Kamala Harris, il governo Biden è rimasto pressoché compatto: si preannuncia l’uscita dei consiglieri economici Brian Deese e Cecilia Rouse, ma la segretaria del Tesoro Yellen, che pareva incerta, resterà. Nel 2020 Biden non lasciò neppure il tempo di valutare i possibili candidati per il ruolo di chief of staff: «Voglio Ron». Klain iniziò a lavorare per Biden durante la sua campagna per il Senato nel 1987, anno in cui si laureò in giurisprudenza a Harvard, e ha occupato vari ruoli nelle amministrazioni Clinton e Obama, incluso capo dello staff del vicepresidente Al Gore (ruolo in cui Kevin Spacey lo ritrasse in tv). Si conoscono da trent’anni ma continua a chiamare Biden «sir».
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TITOLO: Tra Pechino e Washington la diplomazia del basket America-Cina del 23 gennaio
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OCCHIELLO: La newsletter America-Cina ed è uno dei tre appuntamenti quotidiani de «Il Punto» del Corriere della SeraLa newsletter America-Cina ed è uno dei tre appuntamenti quotidiani de «Il Punto» del Corriere della Sera
TESTO: Un Leopard 2 durante una esercitazione L’invio di carri armati pesanti in Ucraina divide il fronte europeo e occidentale. Da un lato gli americani e la maggioranza dei Paesi europei, favorevoli a fornire a Kiev un sistema d’arma considerato decisivo per consentire alle forze ucraine di uscire dallo stallo attuale e continuare a riconquistare territorio oggi occupato dai russi. Dall’altro la Germania che ancora tergiversa e non decide. I carri occidentali darebbero infatti all’Ucraina la potenza di fuoco necessaria per bucare le linee difensive delle forze russe e riprendere l’iniziativa prima che sia Mosca a farlo. 1) Perché i Leopard 2 di fabbricazione tedesca sono il pomo della discordia? I Leopard, prodotti dalla tedesca Rheinmetall, sono la Rolls Royce dei carri armati (qui il punto militare su cosa sono e perché se ne parla così tanto). Hanno caratteristiche simili agli Abrams americani e ai Challenger inglesi, ma a parità di potenza di fuoco, sono più leggeri, più veloci, più facili da manovrare e da rifornire. Fra l’altro gli Abrams, che hanno un motore a turbina, necessitano di un carburante speciale, mentre i Leopard usano comune gasolio. Soprattutto, i carri made in Germany sono teoricamente disponibili in grande quantità: oltre 2000 esemplari sparsi negli arsenali di 13 Paesi europei. Non tutti sono operativi, molti necessitano di riparazioni, ma è un bacino enorme al quale attingere. Un altro vantaggio dei Leopard rispetto ai carri americani sono i pezzi di ricambio che potrebbero essere forniti in breve tempo. 2) Perché la Germania è decisiva nella questione dei Leopard? Perché ne ha più di tutti e perché, ai termini di contratto, la sua licenza di esportazione è anche necessaria per qualsiasi Paese li abbia e voglia cederli a un Paese terzo, come nel caso dell’Ucraina 3) Di quanti Leopard dispone la Bundeswehr, l’esercito tedesco? Circa 350, ma non è chiaro quanto di questi siano combat-ready. Il nuovo ministro della Difesa Boris Pistorius ha annunciato venerdì scorso una verifica tecnica su quanti siano i carri armati operativi a sua disposizione, quanti ne abbiano gli altri Paesi e quanti siano eventualmente disposti a cederne, prima di prendere una decisione finale. 4) Perché Berlino esita a fornire i suoi Leopard? Ci sono una serie di ragioni, alcune vere altre pretestuose. Per mesi la narrazione ufficiale è stata che Berlino non volesse agire da sola: troppo pesante la zavorra della sua Storia per poter fare la prima della classe, tanto più in un conflitto nel quale è coinvolta la Russia. Così, nelle forniture militari a Kiev, Scholz ha sempre chiesto una copertura politica, cioè una decisione preventiva o contemporanea di altri alleati a fornire lo stesso tipo di armi, fossero i sistemi di difesa antiaerea, i carri leggeri Marder o, da ultimo, i missili Patriot. Nel caso dei Leopard, secondo il cancelliere, dovevano essere gli americani Abrams a fare da apripista. Ma sui loro carri di ultima generazione, gli Stati Uniti, comunque di gran lunga i maggiori fornitori di armi all’Ucraina, sono stati inflessibili nel loro motivato rifiuto. Il legame ha irritato molto gli americani, che al vertice di Ramstein nei colloqui riservati hanno espresso il loro fastidio al ministro della Difesa tedesco. Al punto che Pistorius ha liquidato l’argomento, dicendo che non c’è legame tra un’eventuale decisione tedesca sui Leopard e una americana sugli Abrams. La ragione profonda della cautela tedesca è probabilmente nel fatto che i Leopard segnerebbero un salto di qualità nell’aiuto a Kiev, aumentandone la capacità offensiva e quindi rischiando una forte reazione russa e un ampliamento del conflitto, che Olaf Scholz è deciso a evitare. Il cancelliere non vuole comunque decidere sotto pressione, anche perché il 42% dei tedeschi è contrario all’invio dei Leopard, contro il 46% favorevole e l’11% di indecisi. Ma Scholz ha anche un problema interno alla coalizione, dove gli alleati Verdi e liberali sono apertamente favorevoli all’invio dei carri pesanti. Ieri la ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha detto che Berlino potrebbe cominciare evitando di opporsi alla Polonia, che si è detta pronta a cedere i suoi. Ma non è ancora chiaro sia una posizione personale o un’apertura in quella ufficiale del governo. Una decisione è comunque attesa per i prossimi giorni, ma tutto lascia pensare che alla fine Berlino darà il suo via libera, sia pure con qualche restrizione.
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TITOLO: Arrestato l’ex comandante della Wagner che aveva chiesto asilo in Norvegia
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OCCHIELLO: Andrei Medvedev, disertore del gruppo paramilitare russo, si è detto disposto a collaborare e a rivelare i crimini di guerra degli ex commilitoni: secondo i legali, non ci sono ragioni di credere che possa essere estradato in Russia
TESTO: Come raccontato qui, Medvedev è il primo soldato del gruppo Wagner impiegato in Ucraina - di cui si ha notizia - ad aver disertato. Il quotidiano britannico Guardian aveva parlato con Medvedev prima che lasciasse il suo Paese. «Ho combattuto a Bakhmut, comandando la prima squadra del 4° plotone del 7° distaccamento d’assalto», aveva spiegato Medvedev il 20 dicembre, aggiungendo che si era nascosto in Russia da quando aveva lasciato la sua unità Wagner a luglio. Medvedev ha raccontato anche come la sua unità fosse composta principalmente da ex detenuti mandati al fronte come «carne da macello». «I carcerati sono usati come carne da macello. Mi è stato assegnato un gruppo di detenuti. Nel mio plotone, solo tre uomini su 30 sono sopravvissuti. Medvedev aveva anche affermato di essere a conoscenza di almeno 10 uccisioni di soldati Wagner che avevano disobbedito e di aver assistito personalmente ad alcune esecuzioni. «I comandanti li hanno portati in un campo di tiro e sono stati fucilati davanti a tutti». L’ex mercenario ha raccontato di aver combattuto in Ucraina per la Wagner per quattro mesi prima di disertare a novembre, dopo che l’organizzazione paramilitare guidata da Yevgeny Prigozhin avrebbe prolungato il suo contratto contro la sua volontà. Il gruppo per i diritti umani Gulagu. net, che è in contatto con Medvedev sin dal suo viaggio in Norvegia, ha registrato e pubblicato oggi un’intervista telefonica con Medvedev in cui il miliziano ha dettagliato la sua drammatica fuga attraverso il confine innevato del Circolo Polare Artico, dalla Russia verso la Norvegia, dopo aver attraversato reticolati di filo spinato ed essere riuscito a sfuggire a una pattuglia di confine che aveva sguinzagliato i cani. «Quando ero sul ghiaccio al confine, ho sentito i cani abbaiare, mi sono voltato, ho visto persone con torce, a circa 150 metri di distanza, che correvano nella mia direzione», spiega Medvedev in un video. «Ho sentito due colpi, i proiettili sono sfrecciati». Rimangono molte domande sul passato di Medvedev e sulle circostanze della sua fuga, con alcuni esperti che affermano che non avrebbe potuto attraversare il confine pesantemente sorvegliato senza una sorta di assistenza esterna. Medvedev è un orfano che si è arruolato nell’esercito russo e ha prestato servizio pr un periodo in una prigione prima di unirsi a Wagner lo scorso luglio. Il contratto di quattro mesi sarebbe poi stato prorogato senza il suo consenso. «Ho deciso di scappare e venire qui in primo luogo per salvare la mia vita e in secondo luogo per dire la verità alle persone e al mondo — ha detto nell’intervista con Gulagu. net, precisando che voleva anche «punire» il fondatore di Wagner Yevgeny Prigozhin, stretto alleato di Putin, per la morte di persone colpite su suo ordine in Ucraina.
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TITOLO: Polonia, Finlandia, Danimarca pronti a chiedere il permesso alla Germania di fornire i Leopard all’Ucraina
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OCCHIELLO: Durante il Consiglio Affari esteri si è discusso soprattutto dei carri armati tedeschi da fornire all’esercito di Zelensky. Borrell: «Penso che sia importante consegnare queste armi all’esercito ucraino»
TESTO: DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE BRUXELLES - Alla fine è il ministro degli Esteri Antonio Tajani a chiudere il cerchio, parlando a margine del Consiglio Affari esteri a Bruxelles: la questione dei Leopard dovranno risolverla in bilaterale gli Stati interessati perché riguarda i Paesi Ue che hanno i tank in dotazione e che per darli all’Ucraina hanno bisogno del via libera della Germania che, in qualità di Paese produttore, deve accordare la sua approvazione per l’esportazione verso Paesi terzi. È da tempo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiede all’Occidente i carri armati Leopard 2, considerandoli essenziali per difendersi dalla Russia. «C’è bisogno di passi coraggiosi, decisivi e audaci per garantire la vittoria dell’Ucraina nel 2023», ha twittato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. C’è però il timore di un’escalation militare con Mosca. Venerdì scorso nell’incontro di Ramstein, in Germania, gli alleati occidentali dell’Ucraina hanno rimandato qualsiasi decisione in merito, facendo arrabbiare Kiev che ha criticato la loro «indecisione». L’Alto rappresentante Ue Josep Borrell, all’ingresso del Consiglio Affari esteri lunedì mattina a Bruxelles aveva spiegato che secondo la sua «opinione personale, questo tipo di armi dovrebbe essere fornito all’esercito ucraino. Ma è una decisione degli Stati membri e noi siamo qui per discuterne». Al termine della riunione ha sottolineato che «il meeting di Ramstein è stato dominato dal dibattito sui tank Leopard e i risultati di Ramstein dal punto di vista quantitativo sono stati molto importanti, basta guardare le cifre» e che «la ministra degli Esteri tedesca ha già detto che la Germania non ostacola altri Paesi che vogliono inviare tali tank: la Germania non blocca le esportazioni». Di fatto Berlino sta ancora temporeggiando anche se domenica sera la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, aveva chiarito che la Germania non intende bloccare le consegne da parte di altri Stati ma che finora non era stata avanzata alcuna richiesta ufficiale. Lunedì il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha spiegato che la Polonia chiederà al governo tedesco il permesso di fornire carri armati Leopard all’Ucraina e che Varsavia sta lavorando a una coalizione che rifornisca l’Ucraina di tank. Finlandia (candidata alla Nato) e Danimarca sarebbero pronte ad affiancarsi alla Polonia. E il ministro degli Esteri della Lettonia Edgars Rink?vi?s ha dichiarato che «non ci sono buoni argomenti validi» per non fornire i carri armati. Per il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, «c’è solo una conclusione che dobbiamo cercare: è la vittoria dell’Ucraina. Per questo è imperativo inviare tutte le armi di cui l’Ucraina ha bisogno per respingere il fronte e riprendere i suoi territori». Morawiecki ha anche avvertito di essere pronto a rinunciare all’approvazione di Berlino. Il governo tedesco è ancora diviso sulla questione. «Stiamo costantemente esercitando pressioni sul governo di Berlino affinché metta a disposizione i suoi Leopard», ha spiegato Morawiecki aggiungendo che la Germania ha «più di 350 Leopard attivi e circa 200 in deposito». Secondo il think tank European Council on Foreign Relations, i Leopard fanno parte dell’equipaggiamento degli eserciti di Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e Turchia e insieme contano più di duemila tank. Secondo l’agenzia tedesca Dpa, sono 20 gli Stati del mondo che possiedono i carri armati. Anche la Repubblica Ceca, ha spiegato il suo ministro degli Esteri Jan Lipavski, ha «chiesto alla Germania di fornire all’Ucraina i carri armati Leopard. Ma, certo, è un dibattito interno alla Germania che deve avvenire e arrivare a qualche conclusione»: «Questo è il momento di decidere e spero che la Germania prenda presto questa decisione», ha aggiunto. Borrell ha anche annunciato che i ministri Ue hanno «raggiunto un accordo politico sulla settima tranche di supporto militare con altri 500 milioni e un’ulteriore misura di assistenza del valore di 45 milioni per la formazione delle forze ucraine da parte della nostra missione militare. Questo porta il totale del supporto militare sotto l’European Peace Facility a 3,6 miliardi». Borrell ha poi ricordato «la cifra di 49 miliardi che è il totale del sostegno all’Ucraina, militare, umanitario, finanziario, economico: quasi 50 miliardi. Questo significa che l’Ue è salita al primo posto, come istituzioni e Paesi membri, nel sostegno all’Ucraina». Nell’ambito del nuovo pacchetto di aiuti militari, l’Estonia ha deciso di cedere all’Ucraina tutti gli obici da 155 mm in dotazione delle proprie forze armate.
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TITOLO: Carri armati, perché la Germania esita nell’inviare i Leopard
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OCCHIELLO: I tank darebbero a Kiev la possibilità di fare un salto di qualità ed è proprio questa la ragione principale che frena Berlino. Il timore è di una forte reazione russa che porterebbe ad un’escalation del conflitto
TESTO: Perché Berlino esita a fornire i suoi Leopard? Premesso che la Germania è il Paese che ha fornito più aiuti militari e finanziari all’Ucraina dopo gli Stati Uniti, ci sono una serie di ragioni, alcune vere altre pretestuose. Per mesi la narrazione ufficiale è stata che Berlino non voleva agire da sola: troppo pesante la zavorra della sua Storia per poter fare la prima della classe, tanto più in un conflitto nel quale è coinvolta la Russia. Così, nelle forniture militari a Kiev, Scholz ha sempre chiesto una copertura politica, cioè una decisione preventiva o contemporanea di altri alleati a fornire lo stesso tipo di armi. È successo con i sistemi di difesa antimissile Iris-T e Patriot, gli obici e antiaerei, i carri armati leggeri Marder. Nel caso dei Leopard, secondo il cancelliere, dovevano essere gli americani Abrams a fare da apripista. Ma sui loro carri di ultima generazione, gli Stati Uniti, comunque di gran lunga i maggiori fornitori di armi all’Ucraina, sono stati inflessibili nel loro motivato rifiuto. Il linkage ha irritato molto gli americani, che si sono sentiti usati come alibi e che al vertice di Ramstein nei colloqui riservati hanno espresso il loro fastidio al ministro della Difesa tedesco. Al punto che Pistorius ha liquidato l’argomento, dicendo che non c’è legame tra un’eventuale decisione tedesca sui Leopard e una americana sugli Abrams. La ragione profonda della cautela tedesca è probabilmente nel fatto che i Leopard segnerebbero un salto di qualità nell’aiuto a Kiev, aumentandone la capacità offensiva e quindi rischiando una forte reazione russa e un ampliamento del conflitto, che il Olaf Scholz è deciso a evitare. Il cancelliere non vuole comunque decidere sotto pressione, anche perché il 42% dei tedeschi è contrario all’invio dei Leopard, contro il 46% favorevole e l’11% di indecisi. Il governo tedesco è unito sui Leopard? No. Scholz ha anche un problema interno alla coalizione, dove gli alleati Verdi e liberali sono apertamente favorevoli all’invio dei carri pesanti e non si stancano di ripeterlo. Ieri la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, ha detto che Berlino non si opporrebbe se la Polonia volesse mandare i suoi Leopard, ma che una domanda formale non c’era ancora stata. Poche ore fa il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha annunciato che Varsavia presenterà una richiesta ufficiale in tal senso. Non è ancora chiaro se quella di Baerbock sia una posizione personale, il tentativo di forzare la mano a Scholz o una prima apertura nell’atteggiamento ufficiale del governo. Una decisione è comunque attesa per i prossimi giorni, ma tutto lascia pensare che alla fine Berlino darà il suo via libero, sia pure con qualche restrizione.
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TITOLO: Ex capo dell’FBI arrestato: «Veniva pagato dall’oligarca russo Deripaska»
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OCCHIELLO: Charles McGonigal guidava la divisione del controspionaggio di New York: è stato arrestato sabato all’aereoporto John Fitzgerald Kennedy , di ritorno da un viaggio in Medio Oriente
TESTO: L’attività incriminata di McGonigal, 55 anni, sarebbe iniziata dopo essere andato in pensione dall’Fbi nel 2018: negli anni successivi ai quali aveva indagato sullo stesso Deripaska. Ma è emerso che quando era ancora in servizio avrebbe usato i suoi contatti per aiutare la figlia di un dipendente dell’oligarca a fare uno stage presso il dipartimento di polizia. McGonigal, che vive a New York, è stato arrestato sabato scorso all’aeroporto Jfk di New York di ritorno dal Medio Oriente. La prima udienza si è tenuta ieri a Manhattan. Anche la procura federale di Washington lo accusa di aver accettato, mentre ancora lavorava come agente federale, 225mila dollari in contanti da un ex agente dell’intelligence albanese che viveva in New Jersey e che aveva interessi in Europa dell’est. La stessa persona in seguito è diventata una fonte dell’Fbi. L’incriminazione è un brutto colpo per l’Fbi: McGonigal era considerato uno degli agenti più fidati. Il fatto che un funzionario del suo rango sia compromesso mette anche a rischio il tentativo più ampio del dipartimento di Giustizia di stroncare le attività degli imprenditori russi sotto sanzioni su territorio americano. McGonigal era in possesso di molte informazioni sensibili, sapeva i nomi dei russi che Washington voleva sanzionare quando la lista (che includeva Deripaska) era ancora top secret, aveva lavorato in collaborazione con la Cia e potrebbe essere stato messo al corrente di possibili indagini su spie straniere o cittadini Usa sospettati di lavorare per governi stranieri. Rischia vent’anni di carcere per ciascuna delle due accuse più gravi.
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TITOLO: Laura che ha realizzato i sessanta desideri del papà morto giovane
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OCCHIELLO: La lista ritrovata nel 2016, a 13 anni dalla sua scomparsa. La figlia ce ne ha messi cinque per ultimare la missione: dal salto con il paracadute all’incontro con il presidente Carter. «Non ero sola, mio padre era con me»
TESTO: All’inizio Laura pensa che la ragione più importante del progetto sia usarlo nella battaglia di sensibilizzazione sulle vittime della strada. E poi a poco a poco, un desiderio dopo l’altro, si rende conto che alla radice del viaggio c’è anche il bisogno-piacere di ritrovare suo padre nelle cose che lui avrebbe voluto fare. Non girare intorno alla sua morte, ma scoprire pezzi di vita inseguendo i suoi sogni, «perché mio padre era un sognatore e io sapevo che lui era lì con me». Il viaggio dei desideri per interposta figlia è durato cinque anni, complice la pandemia che ha rallentato tutto. Qualche volta è stato il marito ad accompagnarla, ogni tanto il fratello e la mamma, mentre lei sentiva «strati di dolore a poco a poco venir via» come un blocco che si sfalda. L’ultimo strato, l’ultimo desiderio l’ha realizzato il 27 dicembre: incidere cinque canzoni. I brani che suo padre amava, compreso «Good night» dei Beatles. Il desiderio impossibile, «cantare al matrimonio di mia figlia», Laura l’ha compiuto in maniera creativa. «Abbiamo stappato una bottiglia di meraviglioso cabernet che papà aveva comprato nel 1978, lasciando una scritta sull’etichetta: “Da bere alle nozze di Laura”. E vi assicuro che in quel momento le nostre pance cantavano con lui».
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TITOLO: Usa: sparatoria nel nord della California, almeno sette i morti
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OCCHIELLO: La strage è avvenuta in due luoghi differenti lungo l'autostrada 92. Un altro massacro a pochi giorni da quello avvenuto a Monterey Park, che ha fatto 11 vittime
TESTO: Due studenti maschi di 18 e 16 anni sono stati uccisi e un uomo è rimasto gravemente ferito in una sparatoria in una scuola di Des Moines, la «Starts Right Here», che aiuta i giovani a rischio. Lo riferisce la polizia. Il ferito è stato identificato come il 49enne William Holmes — un rapper, noto con il nome d'arte di Will Keeps, che ha abbandonato una vita di violenza e si è dedicato ad aiutare i giovani a Des Moines —. Le squadre di emergenza sono state chiamate poco prima delle 13 di lunedì. Gli agenti sono arrivati e hanno trovato due studenti gravemente feriti. Hanno iniziato immediatamente la rianimazione cardiopolmonare. I due ragazzi, che non sono stati identificati, sono morti in ospedale. Circa venti minuti dopo la sparatoria, sono stati fermati tre sospetti. Due restano in custodia della polizia; il terzo, il 18enne Preston Walls, di Des Moines, è accusato di due capi di omicidio e uno di tentato omicidio. Walls era in libertà vigilata sotto controllo, si è tolto un braccialetto alla caviglia 16 minuti prima di andare alla «Starts Right Here» e affrontare le due vittime. Secondo gli agenti, la sparatoria è legata a un regolamento di conti tra gang rivali.
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TITOLO: Perché l’Ucraina vuole i carri armati Leopard?
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OCCHIELLO: Precisi nel tiro, affidabili di fronte al nemico: i tank tedeschi possono ribaltare le sorti del conflitto
TESTO: E se la Germania dopo il primo via libera ai Leopard già in Polonia non ne concedesse altri? Kiev è sicura di trovare altre strade: i Leopard potrebbero diventare merce di scambio. «La Germania — assicura Roman Svitan, analista militare ucraino — sta vendendo i nuovi Leopard 2A4 a Cipro e Cipro potrebbe passarci i suoi T80. Ne ha quasi cento». Stesso schema se la Polonia ricevesse gli Abrams americani: i Leopard polacchi andrebbero diritti in Ucraina. «Tante le triangolazioni possibili», assicura Svitan. Con lanciarazzi a spalla e droni sul campo di battaglia, i tank non dovevano essere un’arma superata? «No — dice il capitano delle Forze speciali Berezovets — la fanteria avanza più sicura se alle spalle ha questi mostri. Nella battaglia di Balakliya (Kharkiv) abbiamo scatenato la 3° Brigata corrazzata ucraina (la Zalizna, Ferro) e i russi sono scappati come topi fuori dalle trincee. La verità è che i tank fanno paura. Un uomo a piedi davanti a una macchina da 60 tonnellate come i Leopard si sente debole, smette di combattere».
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TITOLO: Usa, sparatoria in una scuola in Iowa: due studenti uccisi, grave insegnante
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OCCHIELLO: Per la polizia la sparatoria «è stato un incidente mirato, non casuale». Fermati tre sospetti. Intanto la Cnn riporta che dall’inizio dell’anno, cioè poco più di tre settimane, sono state 36 le sparatorie di massa nel Paese
TESTO: Circa 20 minuti dopo la sparatoria, gli agenti hanno fermato un’auto che corrispondeva alle descrizioni dei testimoni a circa due miglia di distanza e hanno preso in custodia tre sospetti, tutti teen ager. Uno di questi è scappato dalla vettura, ma gli agenti sono stati in grado di rintracciarlo. La sparatoria «è stato un incidente decisamente mirato, non casuale», ha dichiarato la polizia. Dall’inizio dell’anno, cioè in poco più di tre settimane, sono state 36 le sparatorie di massa registrate negli Stati Uniti. Mai così tante a questa data. Lo riporta la Cnn sottolineando inoltre che la sparatoria al Monterey Park, in California, in cui sono rimaste uccise 11 persone sabato notte, è stata la più mortale dal massacro di Uvalde, in Texas, nel maggio 2022.
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TITOLO: Corruzione in Ucraina, la purga di Zelensky: via pezzi grossi del governo
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OCCHIELLO: Cacciati quattro vice ministri (compresi quelli di Difesa e Infrastrutture): mazzette sul cibo ai soldati e generatori. Il vice capo dello staff presidenziale e quello della Procura: auto di lusso e vacanze in Sardegna
TESTO: L’Ucraina era prima in Europa per livello di corruzione e il suo cammino verso l’Unione Europea è sempre stato condizionato alla soluzione del problema attraverso nuove leggi e una magistratura più autonoma. Lo stesso Nabu, l’ufficio anti corruzione chiesto dai Paesi donatori totalmente indipendente dagli altri Poteri dello Stato, non è ancora trovato un presidente. La guerra, gli aiuti internazionali, hanno alzato le aspettative di pulizia da parte dei donatori. Con la purga in corso, il governo Zelensky sta cercando di porre rimedio anche a questo problema. Per il presidente ucraino tutto passa attraverso l’annuncio social. Ieri sera il suo discorso via selfy, cellulare alla mano, si è concluso con un avviso a tutti gli ucraini che maneggiano soldi pubblici: «Voglio essere chiaro, non ci sarà un ritorno alle vecchie abitudini».
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TITOLO: Beyoncé si esibisce a Dubai, tra cambi d’abito, cachet astronomici e critiche della comunità Lgbtq
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OCCHIELLO: Niente riprese sui social perché i telefonini erano proibiti. Il compenso: 24 milioni di dollari (22,1 milioni di euro). Bev Jackson di «LGB Alliance»: «Grande delusione»
TESTO: Tutto molto bello: i grandi successi del passato come «Crazy in Love», «Beautiful Liar» e «Naughty Girl», la cover di «At Last» di Etta James, i fuochi d’artificio, i cambi di look (sul red carpet aveva un abito d’oro metalizzato realizzato per lei da Dolce & Gabbana e gioielli Messika), tanta apertura al nuovo (i costumi della stilista mediorientale Rayan Al Sulaimani e di Nicolas Jebran e dello stilista ucraino Ivan Frovol, le ballerine libanesi), tra il pubblico amici famosi come Kendall Jenner, Rebel Wilson, Simon Huck e Jonathan Cheban. Niente riprese sui social perché i telefonini erano proibiti, e forse è meglio così visto che c’è grande imbarazzo on line nel «beehive», l’alveare dell’ape regina Beyoncé (Queen B, gioco di parole): il compenso, impressionante, di 24 milioni di dollari (22,1 milioni di euro) per 65 minuti di esibizione, non cambia il piccolo dettaglio che Beyoncé grande sostenitrice della comunità Lgbt (che la riama fortemente) si è esibita in un Paese come gli Emirati dove secondo la legge islamica l’omosessualità è punibile con la morte (il fronte pro-Dubai risponde che gli Emirati non sono l’Afghanistan e che la legge c’è ma non viene applicata). E l’ultimo disco, del 2022, Renaissance, dedicato espressamente agli artisti neri gay pionieri della disco? Zero canzoni eseguite a Dubai, cosa oggettivamente bizzarra. Bev Jackson di «LGB Alliance» dice che il concerto è una «grande delusione», la destra americana (la tv Fox News in primis) gioisce, Twitter per una volta fa distinguo (non capita spesso).
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TITOLO: La moneta comune «Sur» di Brasile e Argentina conviene soprattutto a Pechino
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OCCHIELLO: L’idea di ridurre la dipendenza dal dollaro piace molto alla Cina. Non tutti i brasiliani sembrano essere d’accordo con il nuovo progetto
TESTO: Il vertice dei paesi latinoamericani e caraibici a Buenos Aires, segnato dalla nuova egemonia della sinistra populista, rilancia l’obiettivo di emancipazione dagli Stati Uniti. In questo contesto è resuscitato il progetto di moneta unica tra Brasile e Argentina: viene rilanciato come un modo per ridurre la dipendenza dal dollaro. Ma il nuovo padrone del continente ormai è la Cina. E le minacce alla democrazia non vengono solo dalla destra bolsonarista: il caso del Messico (il cui presidente non partecipa al vertice) è emblematico delle pulsioni autoritarie comuni al populismo di sinistra. Il summit di Buenos Aires riunisce i paesi del Celac, che sta per Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caraibenos. Gli Stati membri sono 33 ma si segnalano assenze vistose. Il venezuelano Maduro ha cancellato il viaggio all’ultimo momento denunciando «il pericolo di un’aggressione fascista»: in realtà sembra temesse di poter essere arrestato al suo arrivo, su ordine della magistratura argentina. Un peso massimo come Andrés Manuel Lòpez Obrador (abbreviato in Amlo), il presidente messicano, è rimasto pure lui a casa: al di là delle motivazioni ufficiali, è noto che Amlo disprezza la politica estera, il suo è un caso eclatante di «sovranismo di sinistra». Il Messico è la seconda economia latinoamericana per le dimensioni del suo Pil, dietro al Brasile, mentre al terzo posto arriva l’Argentina. Se invece si guarda al Pil pro capite, che misura il livello di benessere degli abitanti, allora la classifica di quel trio cambia: prima è l’Argentina (che ha solo 43 milioni di abitanti, meno della Colombia), secondo il Messico (che ha 122 milioni di abitanti), terzo il Brasile (che suddivide il suo Pil su una popolazione di 204 milioni). A dominare la scena al summit Celac sono rimasti dunque gli altri due pesi massimi dell’area in termini economici: il Brasile di Lula da Silva e l’Argentina di Alberto Fernandez. L’idea della moneta unica è stata presentata come un esperimento da iniziare a due, per poi eventualmente proporla come la valuta di tutto il Mercosur, la comunità economica dei paesi sudamericani. Le motivazioni di questo progetto – non nuovo – rievocano quelle che ispirarono l’euro: facilitare gli scambi commerciali tra paesi vicini e affini; ridurre i costi; infine e soprattutto eliminare la dipendenza da una moneta terza come il dollaro. Poiché all’inizio questa nuova valuta non sostituirebbe il real brasiliano e il peso argentino, bensì li affiancherebbe, il progetto ricorda l’antenato dell’euro che fu l’Ecu, lo «scudo» europeo che precedette e preparò la vera e propria moneta unica. Le critiche sono venute soprattutto da parte brasiliana. Tra le due economie quella argentina è tradizionalmente la più instabile, soggetta a bancarotte sovrane, iperinflazione, ancor più della brasiliana. Fabio Ostermann, un politico centrista vicino al mondo delle imprese brasiliane, ha definito il progetto «insensato, l’equivalente di aprire un conto in banca congiunto con un amico disoccupato e indebitato con tutti». Non giovano i precedenti di altre unioni monetarie naufragate, come il «peso andino». Peraltro lo stesso Mercosur stenta a mantenere le sue promesse di creazione di un mercato unico. Come minimo il progetto di moneta unica può essere considerato un diversivo. Non affronta le radici di un dissesto economico che non ha nulla a che vedere con l’influenza degli Stati Uniti o del dollaro. L’inflazione argentina al 95%, ad esempio, deriva da politiche populiste di ispirazione peronista: spesa pubblica facile, elargizioni assistenzialiste, finanziate da una banca centrale che stampa moneta. L’euro, almeno, nacque attirando i paesi meno forti verso un modello di regole e stabilità monetaria germanica. Tra Lula e Fernandez il modello è quello opposto. In tutta l’America latina peraltro cresce l’egemonia di un populismo di sinistra che riabilita la spesa pubblica e le nazionalizzazioni, ricette già ampiamente sperimentate in passato con risultati poco brillanti. Le ultime tornate elettorali hanno portato al potere una larghissima maggioranza di leader di sinistra, talvolta molto radicali: il ritorno al potere di Lula ha suggellato e confermato questa «ondata rosa o rossa» che c’era stata già stata nella prima decade di questo secolo, e che non ha lasciato un bilancio economico esaltante. In quanto al ruolo dominante degli Stati Uniti, anche quello è un ricordo del passato: con l’eccezione del Messico (membro del mercato unico nordamericano con Usa e Canada), le maggiori economie latinoamericane oggi hanno come primo partner commerciale la Cina, ed è verso Pechino che hanno sviluppato nuove forme di dipendenza. Il «miracolo economico» della prima presidenza Lula – poi rivelatosi effimero – fu trainato dalla domanda cinese di materie prime. L’idea di ridurre la dipendenza dal dollaro piace molto a Pechino – che persegue la «sdollarizzazione» ad esempio nell’interscambio con la Russia – e in questo senso il progetto Lula-Fernandez è in sintonia con gli interessi della nuova superpotenza dominante in questa parte del mondo. Lula non sembra essere del tutto convinto sulla validità del progetto di nuova moneta, che avrebbe sostenitori più accaniti a Buenos Aires. Però Lula teneva a fare un ritorno trionfale dentro la comunità Celac, di cui lui era stato uno dei padri fondatori, e che il suo predecessore Bolsonaro aveva disertato e boicottato. Lula oggi si presenta come il salvatore della più grande democrazia latinoamericana, essendo sopravvissuto al suo 8 gennaio, l’assalto ai palazzi delle istituzioni a Brasilia. Però il successivo regolamento di conti contro i bolsonaristi sta mettendo a nudo altre fragilità del sistema democratico: per esempio lo strapotere di una Corte costituzionale molto politicizzata, poco rispettosa dei diritti dell’opposizione o della libertà di stampa. L’attenzione prevalente verso la minaccia di un autoritarismo di destra – Bolsonaro – ha fatto perdere di vista il fenomeno speculare e simmetrico. In America latina prevale la deriva dei populisti di sinistra, molti dei quali rispettano la democrazia solo nella misura in cui li fa vincere. Il caso del Messico è uno dei più preoccupanti: il socialista Amlo governa per decreto, ignora i limiti costituzionali, estende la militarizzazione dell’economia (244 attività economiche sono finite in mano all’esercito). Negli ultimi anni sono stati uccisi più giornalisti in Messico che in paesi dove infuria la guerra civile. Il Perù è un altro caso tragico: è finito in un bagno di sangue per lo scontro fratricida tra due fazioni opposte della sinistra.
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TITOLO: La guerra nucleare e l’orologio dell’Apocalisse: mai stati così vicini al disastro atomico
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OCCHIELLO: Un «bollettino scientifico» nato nel 1947. Oggi saremmo a soli 90 secondi dall’Apocalisse (la mezzanotte) per via del conflitto ucraino. Ora incide anche il riscaldamento climatico
TESTO: L’Orologio dell’Apocalisse risale al 1947, al principio della guerra fredda. Fu allora che il «Bollettino degli Scienziati Atomici» si trasformò in una rivista che in copertina mostra appunto lo stato dell’Orologio fatidico. A disegnarlo fu un’artista, Martyl Langsdorf (moglie del fisico Alexander Langsdorf jr. ) su richiesta del cofondatore del periodico, Hyman Goldsmith. La posizione della lancetta viene aggiornata ogni anno dal Comitato scienza e sicurezza (Science and Security Board) della rivista, solitamente nella seconda metà di gennaio. Dal 2007 non viene considerato soltanto il rischio di un conflitto nucleare, ma anche la minaccia del cambiamento climatico. Nello stesso anno l’orologio fu ridisegnato da Michael Bierut. All’inizio l’Orologio venne impostato alle 23.53, quindi a sette minuti dalla catastrofe. E cominciò ad avvicinarsi alla mezzanotte con il primo esperimento nucleare sovietico, nel 1949. Giunse fino a due minuti dall’apocalisse nel 1953 per via dello sviluppo della bomba all’idrogeno. Negli anni Sessanta i primi trattati per la limitazione degli armamenti atomici segnarono un allontanamento, sia pure tra alti e bassi. Si tornò a soli tre minuti dall’ora fatale nel 1984, quando il Cremlino decise di boicottare i giochi olimpici di Los Angeles e il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan bollò l’Unione Sovietica come «l’impero del male». La massima distanza dallo scontro atomico si registrò con la dissoluzione dell’Urss e la fine della guerra fredda, all’inizio degli anni Novanta: 17 minuti.
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TITOLO: Vjosa Osmani, presidente del Kosovo: «La Serbia? Imperialista come Mosca e coopera con la Wagner»
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OCCHIELLO: In visita a Roma, ha incontrato Mattarella e Papa Francesco, ricordando le tensioni nei balcani: «Belgrado cerca di destabilizzarci perché siamo una democrazia libera. La Nato per noi è fondamentale»
TESTO: La più giovane presidente del più giovane Stato europeo, Vjosa Osmani, da qualche mese maneggia una delle crisi più pericolose dei Balcani. Barricate serbe, corpi speciali mobilitati, cannoni alle frontiere, spari sulle truppe Nato. Di fronte, l’eterno nemico. E sullo sfondo, ne è convinta, qualcun altro di ben più pericoloso: «La mentalità egemonica di Belgrado somiglia moltissimo all’approccio che ha la Russia, quando crede di tornare all’era imperiale e di prendersi territori di Paesi vicini. E la Serbia gioca seguendo lo schema di Putin. La pacificazione col presidente serbo Aleksandar Vucic non è la strada da seguire, l’abbiamo già visto con Milosevic nei primi anni ’90 quando qualcuno lo considerava un pacificatore. I Paesi democratici devono dare a Belgrado un messaggio chiaro: non permetteranno di trascinare la regione sull’orlo d’un altro conflitto. Per questo, è estremamente importante la presenza della Nato. La Russia vuole spostare sui Balcani occidentali l’attenzione dell’Occidente, per distoglierla dall’Ucraina. E la Serbia minaccia la sicurezza usando forze che cooperano col Gruppo Wagner, comprano armi russe e mandano paramilitari nel Nord del Kosovo a erigere barricate, creare tensioni».
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TITOLO: La Germania invia i Leopard: Scholz la spunta con gli Usa
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OCCHIELLO: La mossa di Washington, che dice sì ai carri armati Abrams, sblocca la decisione di Berlino
TESTO: Che un annuncio a Berlino fosse nell’aria, era già intuibile ieri mattina, nella conferenza stampa che ha chiuso l’incontro tra il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Pistorius, infatti, ha rivelato di «aver personalmente incoraggiato i Paesi alleati che posseggono i Leopard a iniziare l’addestramento delle forze ucraine per manovrarli». Ai soldati di Kiev, che finora hanno usato solo i T-72 di fabbricazione sovietica, occorrono infatti da quattro a otto settimane per acquisire dimestichezza con i sofisticati carri tedeschi. Quello di Pistorius era il segnale che qualcosa si stava muovendo nella posizione della Germania e Stoltenberg non ha mancato di notarlo, lodando il «chiaro messaggio» dell’anfitrione e dicendosi «fiducioso» che la soluzione sui carri da combattimento sarebbe stata trovata presto.
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TITOLO: Svezia, brucia Corano. Turchia annulla colloqui per ingresso nella Nato
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OCCHIELLO: L’episodio a Stoccolma durante una manifestazione dell’estrema destra. Erdogan per ritorsione ha cancellati gli incontri in programma sull’allargamento dell’Alleanza Atlantica. Ma da tempo sta alzandola posta con ogni pretesto
TESTO: Il gesto plateale aveva dato luogo a sua volta a proteste anti svedesi davanti all’ambasciata ad Ankara e a una prima presa di posizione da parte di Erdogan. Questi aveva chiesto a Stoccolma di reprimere e punire i responsabili di simili manifestazioni. Il governo svedese però aveva risposto che, pur non condividendo i contenuti e i toni della protesta dell’estrema destra «in Svezia bruciare il Corano non è reato». In poche orel’escalation e la tensione diplomatica ha toccato l’apice ed è sfociata nello stop a tempo interminato da parte turca dei colloquio sulla Nato. L'intemerata di Paludan, nel frattempo, ha provocato veementi proteste di piazza contro la Svezia in diversi Paesi islamici tra i quali l’Afghanistan e la Palestina.
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TITOLO: La guerra in Ucraina potrebbe durare anni
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OCCHIELLO: Le rivalità tra i Paesi occidentali rallentano la ristrutturazione delle centrali di energia. Americani e tedeschi si contendono i ricchi contratti della ricostruzione
TESTO: Già, ma per cosa? È probabile che la Russia prepari un attacco fra pochi mesi ma, prima di accettare qualunque negoziato, anche l’Ucraina vuole cambiare a proprio favore gli equilibri della guerra. A Zelensky non bastano più le armi per difendersi e far pagare cara ai russi l’aggressione: vuole più forza di fuoco, vuole contrattaccare ancora. L’idea a Kiev sarebbe di usare centinaia di Leopard e altri tank occidentali per sfondare in primavera le linee nemiche al centro del fronte del Donbass, spezzando i contingenti nemici in due tronconi separati a Nord e a Sud. A quel punto gli ucraini avrebbero a tiro e potrebbero distruggere il ponte di Kerch fra la Russia e la Crimea grazie agli Himar, il micidiale sistema di missili fornito dagli americani. I prossimi mesi saranno dunque decisivi per capire se questa guerra avrà un vincitore o se invece è destinata a durare anni, magari a intensità più bassa. Del resto il tempo non gioca a favore di nessuno. Il missile russo che ha ucciso 44 civili a Dnipro il 14 gennaio – ennesimo crimine di guerra – era disegnato per attaccare navi da guerra: segno che i russi ormai hanno consumato molti dei loro stock e semplicemente ormai sparano quello che hanno, senza andare per il sottile. Anche l’Ucraina deve contare con cura i mesi fino a settembre prossimo. Per allora saranno stati spesi tutti i finanziamenti per 43 miliardi già approvati dal Congresso americano, ma non è affatto certo che la Camera dei rappresentanti controllata dai repubblicani si dimostri altrettanto solidale anche in seguito. Oggi l’esercito di Kiev sta usando missili balistici americani da tre milioni di dollari l’uno per abbattere droni russi o iraniani da 40 mila dollari: è essenziale per salvare vite, ma finanziariamente insostenibile.
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TITOLO: Spagna, attacco in due chiese con una spada da samurai. Morto un sacrestano e altri 4 feriti
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OCCHIELLO: La tragedia ad Algeciras, nella provincia di Cadice. L'aggressore di origini marocchine è stato arrestato. La polizia indaga per terrorismo
TESTO: Un sacrestano è morto e altre quattro persone sono rimaste ferite nel sud della Spagna per un attacco a colpi di machete (in un primo momento si parlava di una katana, la tipica spada giapponese). Secondo quanto riferito dal quotidiano El Mundo, l'aggressione sarebbe avvenuta nelle chiese di San Isidro di Algeciras e nella parrocchia di Nostra Signora de La Palma verso le 20 , nella provincia meridionale di Cadice. Tra i feriti c'è anche il parroco, in gravi condizioni, mentre per il sacrestano non c'è stato nulla da fare, deceduto poco dopo l'attacco all'esterno del luogo di culto.
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TITOLO: Wagner, il cimitero in Russia del gruppo paramilitare ampliato di sette volte in 2 mesi
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OCCHIELLO: I mercenari caduti vengono sepolti in un cimitero poco lontano da Krasnodar o nella cappella del gruppo. Nelle ultime settimane la milizia ha perduto centinaia di uomini in Donbass
TESTO: In pochi mesi, il cimitero dove vengono sepolti i mercenari del gruppo Wagner caduti in battaglia è stato ampliato notevolmente. Lo rivelano le immagini satellitari del sito e una inchiesta del New York Times, che svela quanto pesanti siano state le perdite del gruppo paramilitare di Yevgeny Prigozhin sui fronti dell’Ucraina. L’allargamento del cimitero è coinciso con quattro mesi di feroci combattimenti nel Donbass, in cui i soldati dell’esercito regolare di Mosca e i mercenari della Wagner hanno cercato di avanzare verso nord. Secondo l’intelligence di Washington, la milizia ha perso al fronte migliaia di militari, dei quali il 90 percento sarebbero ex galeotti che sono stati scarcerati dopo aver accettato di imbracciare le armi ed essere spediti in Ucraina. In un’immagine satellitare scattata il 24 gennaio sono visibili circa 170 tombe nel cimitero conosciuto per essere il luogo di sepoltura dei caduti della Wagner. Un numero che è aumentato di 7 volte rispetto a un’immagine dello stesso cimitero risalente a due mesi fa. Il fatto che la Wagner abbia un cimitero proprio costituisce un ulteriore segnale della crescente rilevanza della milizia in Russia, e del tentativo di superare l’esercito regolare in termini di affidabilità. L’esistenza del cimitero, che si trova nel piccolo villaggio di Molkin, pochi chilometri a sudest di Krasnodar, è stata rivelata a dicembre da Vitaly Wotanovsky, un attivista già ufficiale dell’Aeronautica russa. Poco lontano da Molkin si trova il principale centro d’addestramento della formazione paramilitare.
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TITOLO: Il dietrofront di Meta: Donald Trump sarà riammesso su Facebook e Instagram
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OCCHIELLO: Era stato bandito dopo le incitazioni alla rivolta contro l’insediamento di Biden. Ora dopo Twitter anche i social di Zuckerberg gli restituiscono gli account. L’ex presidente: «Mai più un bando social». Ma ora ha un’«esclusiva» per Truth
TESTO: Del resto sono stati gli stessi avvocati dell’ex presidente a chiedere a Facebook di revocare la messa al bando. Il caso Trump per Zuckerberg è stato un incubo: accusato dalla sinistra di essere stato uno dei megafoni che aprirono a The Donald la strada della Casa Bianca, dopo la cancellazione del suo account il capo di Meta è finito nel mirino dei repubblicani. Per un po’ il fondatore e capo del gruppo ha cercato di tirarsi fuori affidando all’Oversight Board, un organismo consultivo da lui stesso costituito e composto da accademici e da ex leader politici di varie nazioni, la decisione sugli utenti da espellere per le violazioni delle regole di Facebook. Ora, però, Zuckerberg sembra aver ripreso in mano la questione: la decisione su Trump è stata comunicata dal suo braccio destro Nick Clegg che ha, comunque, avvertito l’ex presidente: la riammissione non significa che non ci sono limiti, nuove violazioni provocheranno nuove sanzioni.
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TITOLO: Ilya Ponomarev, dissidente miliardario in esilio: «I miei uomini libereranno Mosca»
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OCCHIELLO: Il russo ostile al Cremlino: «Credo che il regime di Putin si combatta soltanto con la lotta armata. Sono il De Gaulle russo, non temo di tornare in patria»
TESTO: Un russo che va d’accordo con l’ucraino Volodymyr Zelensky, di questi tempi, è merce rara. Almeno quanto un oppositore di Putin non ancora avvelenato o un (ex) parlamentare della Duma di Mosca che spera nella sconfitta della Russia. Ma Ilya Ponomarev non ha paura di essere originale. Miliardario prima dei trent’anni, deputato a 32, in esilio a 41 , uno che ha quotato al Nasdaq di New York una sua società a 43 anni non può essere sottovalutato. Con le guardie del corpo alla porta, una pistola alla cintura e una tazza di tè in mano («tranquillo, l’hanno verificata i miei ragazzi») dice sicuro, «sì, certo può scriverlo, perché lo schema politico è esattamente lo stesso: io sono il De Gaulle russo».
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TITOLO: Armi all’Ucraina, l’Italia manda uno dei sistemi di difesa aerea più sofisticati al mondo. Meloni: «Tra i leader grande unità»
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OCCHIELLO: Il ministro della Difesa Guido Crosetto chiede però di escludere le spese militari dal Patto di stabilità
TESTO: A Palazzo Chigi, a metà pomeriggio, Giorgia Meloni si collega nella call internazionale che la vede insieme a Joe Biden e ai leader di Francia, Gran Bretagna e Germania. Non era scontato, è il primo confronto di questo tipo che coinvolge la nostra presidente del Consiglio. La videotelefonata dura una quarantina di minuti e serve soprattutto per fare un giro d’orizzonte politico dopo le decisioni prese nel vertice di Ramstein. Le incertezze di Berlino sono state superate, gli americani ringraziano tutti i partecipanti e segnatamente anche l’Italia, che manderà insieme a Parigi un sistema di difesa anti missile ad altissima tecnologia. Avrà un effetto deterrente non da poco, visto l’efficienza dei missili Aster che vengono «sparati» dalla batteria Samp-T.
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TITOLO: Così l’intelligence cinese cercava di reclutare scienziati aerospaziali negli Stati Uniti
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OCCHIELLO: Otto anni di carcere a Chicago per il «reclutatore» Ji Chaoqun: ingegnere cinese che cercava «talenti scientifici» (che gli passassero dossier sull’industria americana). Una storia da Guerra Fredda
TESTO: Sette degli esperti scientifici naturalizzati americani lavoravano in programmi legati alla Difesa di Washington. Oltre che reclutando «talenti», l’ingegnere infiltrato avrebbe dovuto proseguire la sua azione ottenendo la cittadinanza americana e il nullaosta della sicurezza nazionale; poi avrebbe dovuto cercare di farsi ingaggiare dalla Nasa, dalla Cia o dall’Fbi. Intanto, grazie al suo tesserino di membro della Riserva dell’Esercito americano, la spia cinese già poteva accedere ad alcune basi militari. Il piano è stato ricostruito dall’inchiesta del Dipartimento della Giustizia americano che lo ha arrestato nel 2018 dopo pedinamenti e intercettazioni. È risultato che Ji Chaoqun era agli ordini diretti di Xu Yanjun, un ufficiale regolare dell’intelligence cinese, condannato nel 2021 a 20 anni di carcere negli Usa per aver cercato di rubare segreti aerospaziali da General Electric Aviation e la francese Safran, che collaborano allo sviluppo di un motore.
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TITOLO: Abrams, Biden manda 31 carri armati a Kiev: «Difenderemo l’Ucraina»
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OCCHIELLO: Il presidente Usa chiama quattro leader europei e ringrazia Roma. Scholz conferma 14 Leopard, ma precisa: «Una decisione che andava ponderata»
TESTO: Nelle ultime settimane, l’unità degli alleati era stata messa alla prova dalla questione dei tank, con Berlino che rifiutava di inviare i propri a meno che gli americani non facessero lo stesso. Al Pentagono gli Abrams erano ritenuti troppo complessi e costosi (per il tipo di carburante e la manutenzione). Alla domanda se Berlino abbia «costretto» Washington a un ripensamento, Biden ha risposto in conferenza stampa con una risata: «Non mi hanno costretto a cambiare idea. Volevamo essere sicuri di agire insieme». Alla fine, c’è stato un compromesso, dopo decine di conversazioni che hanno coinvolto il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il suo omologo tedesco Jens Plötner, Lloyd Austin del Pentagono, il direttore della Cia William Burns, il capo dello staff di Scholz Wolfgang Schmidt (e gli ucraini): i 31 Abrams, l’equivalente di un battaglione, verranno acquistati (non presi dalle scorte) e ci vorranno «molti mesi», mentre i tank tedeschi dovrebbero arrivare a Kiev a fine marzo, per l’offensiva di primavera. Berlino ne ha promessi inizialmente 14, cui si sommerebbero i Leopard in arrivo tramite altri Paesi europei, per un totale di due battaglioni, cioè di un numero di carri compreso tra 84 e 110. Biden ha citato anche l’invio di Challenger 2 britannici, blindati Amx-10 francesi e la «fornitura di artiglieria» dall’Italia.
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TITOLO: Carri armati all’Ucraina, la Russia si sente aggredita e cita Kruscev: «Vi seppelliremo»
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OCCHIELLO: I media vicini al Cremlino e i diplomatici moscoviti reagiscono all'invio dei tank, rispolverando la storica retorica della guerra fredda
TESTO: Quando si passa dalle parole ai fatti, a quel che l’invio dei carri armati potrebbe cambiare nella strategia russa, la prudenza sembra prendere il sopravvento. All’insegna dell’aspetta e vedi. Secondo l’esperto militare Andrej Frolov, gli annunci di ieri sono fumo negli occhi dei media. «La decisione definitiva verrà presa nel prossimo mese e mezzo, partendo dalla situazione sui campi di battaglia. Se l’esercito ucraino si troverà vicino alla capitolazione, Kiev non riceverà niente». Anche il generale a tre stelle Vladimir Chirkin, ex comandante in capo delle truppe terrestri russe, non ha fretta. «Servono almeno sei mesi per preparare gli equipaggi di quei carri armati. A meno che non abbiano intenzione di mandare soldati americani e tedeschi. Ma allora sarebbe la Terza guerra mondiale, di cui loro hanno così tanta paura». Nel caso, il noto conduttore televisivo Vladimir Solovyov si è portato avanti con il lavoro, sostenendo in prima serata che bisogna bombardare Berlino. «Vi seppelliremo». Dice che bisogna farlo subito, però. Senza aspettare neppure un attimo.
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TITOLO: Stupratore si dichiara trans ed è assegnato a una prigione femminile: polemiche in Scozia
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OCCHIELLO: La polemica divide i laburisti. La scrittrice JK Rowling: «Chi non è d’accordo con questa legge è un fanatico di estrema destra?»
TESTO: Può uno stupratore incallito essere rinchiuso in un carcere femminile? Sì, se nel frattempo sostiene di essere una donna trans. È la conseguenza paradossale della legge scozzese sull’autoidentificazione di genere, che consente di cambiare sesso con una semplice autocertificazione, senza bisogno di una diagnosi medica: ma il caso di Adam Graham, che adesso si fa chiamare Isla Bryson, sta suscitando polemiche a non finire e ha provocato il caustico intervento su Twitter di JK Rowling, la creatrice di Harry Potter in prima fila nel difendere i diritti delle donne biologiche.
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TITOLO: Il rogo del Corano a Stoccolma pagato da un giornalista pro-Putin
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OCCHIELLO: La Turchia ha congelato i colloqui per l’adesione alla Nato dopo la manifestazione davanti alla sua ambasciata nel Paese scandinavo
TESTO: C’è lo zampino della Russia nello stop (temporaneo) all’entrata della Svezia nella Nato decretato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan. A indignare Ankara, ma anche molti altri Paesi di fede musulmana, è stato, sabato scorso, il rogo di una copia del Corano davanti all’ambasciata della Turchia nella capitale svedese. Come è noto a compiere il gesto è stato Rasmus Paludan, un avvocato danese, che però ora ha ammesso di aver avuto l’idea (e i soldi) da Chang Frick, ex collaboratore del canale di propaganda russa Russia Today, proprietario del quotidiano online Nyheter Idag e giornalista di punta nel canale tv Risks che è finanziato dai Democratici Svedesi, la formazione nazionalista e populista che appoggia dall’esterno il governo di Ulf Kristersson. Questi ultimi si sono subito chiamati fuori dalla vicenda mentre Frick ha ammesso di aver pagato le spese per l’autorizzazione a svolgere la manifestazione: «Se sono riuscito a sabotare il processo di adesione alla Nato, pagando una quota amministrativa di 320 corone (circa 32 euro) allora non so se il problema sono io o se è l’intero processo di adesione alla Nato dall’inizio» ha detto aggiungendo, provocatoriamente, «io, poi, non gli avevo detto di bruciare il Corano ma piuttosto una certa bandiera. Volevo che l’azione fosse contro la Turchia, null’altro».
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TITOLO: Perché i tank Leopard e Abrams non bastano all’Ucraina (e cosa non abbiamo capito)
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OCCHIELLO: La scelta di Germania e Stati Uniti di fornire carriarmati all’Ucraina è positiva, ma i tank che arriveranno sono poche decine, contro le migliaia di tank russi. Inoltre lasciano irrisolte molte debolezze dell’esercito ucraino, come i buchi nella difesa aerea
TESTO: Sul via libera ai tank Abrams americani e ai Leopard 2 tedeschi viene in mente una celebre battuta attribuita da alcune fonti a Winston Churchill, il premier britannico protagonista della resistenza contro i nazifascismi nella seconda guerra mondiale (una versione alternativa l’attribuisce a un premier israeliano, Abba Eban). «Potete essere sicuri – avrebbe detto Churchill – che gli americani faranno sempre la cosa giusta, dopo aver provato tutte le altre». In questo caso la battuta si può estendere alla Nato o all’Occidente. È dall’inizio di questo conflitto che il nostro appoggio all’Ucraina procede con il contagocce, tra resistenze e ritardi, e ogni decisione arriva dopo estenuanti esitazioni. Un giudizio severo sulla vicenda dei Leopard lo dà The Economist ricordandoci che la richieste di carriarmati da parte di Zelensky – per poter resistere alle enormi colonne blindate russe – arrivò al settimo giorno dell’invasione, cioè undici mesi fa. Era la cosa giusta da fare subito, ci abbiamo messo quasi un anno per ammetterlo. La giustificazione principale per le nostre esitazioni – anche da parte di Joe Biden – è sempre stata quella di non provocare Putin, di non fare nulla che legittimi la sua narrazione di uno scontro diretto Russia-Nato. Per questo Biden continua a costringere gli ucraini a difendersi con un braccio legato dietro alla schiena, per esempio negandogli missili adeguati a colpire le basi di lancio da cui partono i missili russi. Ma Putin quella narrazione sull’aggressione della Nato l’ha usata dal 2007 ed è con quella che ha giustificato l’aggressione di una nazione sovrana e indipendente fin dal 2008 (Georgie) e dal 2014 (Crimea). Qualsiasi forma di aiuto occidentale all’Ucraina, per la propaganda di Mosca è la conferma del teorema. I tank non cambiano nulla, Putin ha già accusato cento volte la Nato di combattere direttamente contro la Russia. Per lui è anche un comodo alibi verso l’opinione pubblica russa: per giustificare i rovesci subiti dalle sue forze armate, è utile sostenere che stanno combattendo contro un nemico molto più grande. Nella realtà Putin sa bene la differenza fondamentale che c’è tra fornire armi ed entrare direttamente in un conflitto. Negli anni 1965-75, durante la guerra del Vietnam, l’Unione sovietica e la Cina di Mao fornirono la stragrande maggioranza delle armi, l’addestramento e l’intelligence ai comunisti del Nord-Vietnam. Non per questo si può sostenere che l’America stesse combattendo contro Urss e Cina. Se allora la propaganda americana avesse usato questo argomento per giustificare le proprie difficoltà, di sicuro non sarebbe stata presa sul serio dai veterani dello «pseudo-pacifismo» che oggi contestano Zelensky a Sanremo. Gli stessi che invece accettano la propaganda di Putin quando descrive gli aiuti della Nato come una partecipazione diretta alla guerra.
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TITOLO: Brasile, il «genocidio» del popolo Yanomami in Amazzonia: «Cento bambini morti di fame e malaria»
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OCCHIELLO: Cento bambini morti di malnutrizione e malaria lo scorso anno nella riserva, «come un campo di concentramento». Il governo Lula accusa Bolsonaro: «Ha occultato la catastrofe sanitaria»
TESTO: La catastrofica crisi sanitaria che ha travolto gli Yanomami nel Brasile settentrionale è «un genocidio in atto da anni» ha denunciato Sarah Shenker, responsabile di Survival International Brasile. «L’ex presidente Bolsonaro ha deliberatamente aperto le porte del territorio e ha incoraggiato migliaia di cercatori d’oro a riversarsi al suo interno. Ha smantellato il servizio sanitario indigeno; ha sostenuto i minatori che hanno invaso i territori indigeni e ha ignorato i disperati appelli all’azione lanciati dalle organizzazioni indigene, da Survival e da molti altri non appena l’entità della crisi è divenuta palese. .. Da quando Bolsonaro è salito al potere, sono morti per malattie evitabili 570 bambini yanomami sotto i 5 anni; i bambini yanomami muoiono di malnutrizione a un ritmo di 191 volte superiore alla media nazionale; nella regione di Auaris e Maturacá, 8 su 10 bambini yanomami soffrono di malnutrizione cronica».
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TITOLO: Israele, 10 palestinesi uccisi in un raid a Jenin: «Erano terroristi»
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OCCHIELLO: Tra i morti una donna anziana. Il bilancio umano più pesante degli ultimi mesi. Il blitz contro la «Brigata Jenin», fuori dal controllo dell’Autorità palestinese
TESTO: I soldati entrano nel campo rifugiati nascosti in un camion per le consegne ma sono lì per portar via. L’obiettivo è una cellula della Jihad Islamica, stava pianificando un attacco terroristico, dicono adesso i servizi segreti. Finisce in una battaglia, i palestinesi morti sono 10, tra loro un’anziana, gli altri miliziani che sono usciti di casa armati richiamati dall’allarme per l’incursione dell’esercito israeliano. Ancora Jenin. La città dov’è stata combattuta la battaglia più sanguinosa della Seconda intifada, la città nel nord della Cisgiordania che sembrava ormai sedata anche dallo sviluppo economico, è tornata prima linea. L’Autorità palestinese e il Fatah del presidente Abu Mazen hanno perso il controllo, tra i vicoli si muove la Brigata Jenin che non dichiara affiliazioni, la Jihad e Hamas sono però sempre più forti. Ed è da queste organizzazioni che gli israeliani aspettano una risposta. Da Gaza. Le truppe hanno circondato un palazzotto usato come ritrovo dai locali. I capi della cellula erano lì, secondo le indicazioni dell’intelligence. La prima squadra non è bastata. Sono intervenuti i bulldozer, i blindati, un drone – l’occhio elettronico che segue le operazioni – sarebbe stato abbattuto. Il ministero della Sanità palestinese parla di almeno venti feriti, di colpi sparati sugli infermieri che cercavano di raggiungerli, di gas lacrimogeni lanciati in un reparto pediatrico vicino alla zona dello scontro.
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TITOLO: Prete, notaio e sagrestano: arresti e segreti nei sette atolli America-Cina del 26 gennaio
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OCCHIELLO: L’appuntamento quotidiano con «Il punto» del «Corriere della Sera». Ci si puòL’appuntamento quotidiano con «Il punto» del «Corriere della Sera». Ci si può
TESTO: Uno Zeppelin è apparso, minaccioso, nei cieli dell’uomo più ricco d’Asia. E probabilmente sta mettendo a disagio anche il primo ministro indiano Narendra Modi. Hindenburg Research — una finanziaria di New York famosa per trovare società che hanno gonfiato in Borsa i prezzi delle loro azioni in modo illegale — ha emesso un comunicato martedì mattina nel quale accusa di frode una serie di società del gruppo controllato dal miliardario indiano Gautam Adani. E ha annunciato di avere preso posizioni «corte» contro di esse, cioè di avere scommesso sulla caduta dei loro valori sui mercati. Il gruppo di Adani, spesso definito «il Rockfeller di Modi» per la sua amicizia con il premier, nega ogni addebito e minaccia ricorsi in tribunale. Il premier Modi e il ricco Adani - Il nome Hindenburg Research richiama il disastro del dirigibile costruito dalla Luftschiffbau Zeppelin che nel 1937 prese fuoco nel New Jersey, proveniente dalla Germania, e provocò la morte di 35 persone. Il fondatore della finanziaria, Nathan Anderson, ha scelto di chiamarla così per ricordare «i disastri fabbricati dall’uomo». Il disastro sul quale è intervenuto ora è, a suo parere, l’intreccio di società del gruppo Adani (ne ha individuate sette) che avrebbero manipolato i prezzi di Borsa delle loro azioni e avrebbero compiuto irregolarità contabili usando un labirinto di controllate basate a Mauritius. La Hindenburg sostiene anche che l’indebitamento del gruppo è tale da non giustificarne i prezzi di mercato, negli scorsi tre anni saliti a livelli da vertigine. E ha stilato 88 domande alle quali si augura che «l’Adani Group sia così gentile da rispondere». In parallelo alla pubblicazione dell’analisi, la finanziaria ha comunicato di avere venduto allo scoperto azioni del gruppo, cioè di avere scommesso sul loro deprezzamento in Borsa. ; - E in effetti, dopo la pubblicazione del report, i prezzi dei titoli del gruppo sono scesi, in alcuni casi di oltre il 5%. La conglomerata indiana ha definito l’analisi di Hindenburg «una combinazione maliziosa di disinformazione selettiva e di accuse stantie, senza basi e screditate». E sospetta che sia stata pubblicata per colpire aumenti di capitale per 2,5 miliardi di dollari che Adani ha in programma per venerdì. Sulla solidità del gruppo indiano ci sono in realtà perplessità da tempo, sollevate da analisti e da media indipendenti, soprattutto rispetto alle sue condizioni finanziarie e di indebitamento che non giustificherebbero valutazioni così alte in Borsa. Le azioni di Adani Enterprises, per dire, negli scorsi tre anni sono salite del 3.300%. ; - Il gruppo indiano è enormemente diversificato: dalla produzione e trasporto di energia ai porti, dall’intervento nell’economia verde alle telecomunicazioni. La crescita dell’impero di Adani è iniziata nei primi Anni Duemila nel Gujarat, lo Stato indiano più business-friendly, al tempo governato da Narendra Modi. Quando questi è diventato primo ministro dell’India, nel 2014, gli affari dell’amico hanno prosperato: oggi, la ricchezza personale di Gautam Adani è valutata in quasi 130 miliardi di dollari. Affari accompagnati però da accuse di eccessiva vicinanza tra l’imprenditore e il capo del governo. Nel 2018, per esempio, Delhi decise di privatizzare sei aeroporti e per farlo cambiò alcune norme al fine di permettere di partecipare all’operazione anche entità senza esperienza nel settore. Alla fine, la gestione di tutti e sei gli scali fu assegnata ad Adani, che di quel business non si era mai occupato. ; - Lo scontro aperto ora dalla Hindenburg apre una finestra anche su questa rete di vicinanze tra uomini d’affari e governo, con accuse di scambi di favori e timori per la creazione di monopoli da parte di grandi conglomerate: da qui la definizione di Adani come «Rockfeller di Modi». ;
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TITOLO: Quali forniscono all’Ucraina i Paesi alleati?
DATA:
OCCHIELLO: Aiuti all’Ucraina, le armi fornite da ciascun Paese. L’obiettivo europeo è di formare due battaglioni di Leopard per l’Ucraina, circa 80 tank che dovrebbero arrivare da Spagna, Portogallo, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi
TESTO: Ciò che sembrava difficile, all’improvviso è diventato realtà: tutti — o quasi — promettono carri armati per Kiev. La Germania ha messo fine alle titubanze annunciando l’invio di una compagnia» di Leopard 2, 14 mezzi che saranno consegnati entro tre mesi e che si aggiungono ai 14 promessi dalla Polonia e ai 14 Challenger 2 della Gran Bretagna. L’obiettivo europeo è di formare due battaglioni di Leopard da destinare a Kiev, circa 80 tank che dovrebbero arrivare da Spagna, Portogallo, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi. Il via libera di Berlino — necessario per i Paesi intenzionati a cedere i carri di produzione tedesca — è arrivato solo dopo che gli Stati Uniti hanno promesso la fornitura di 31 tank Abrams: questa era la condizione posta dal cancelliere Olaf Scholz, che non voleva essere il primo né l’unico a fare il passo.
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TITOLO: Francia, fermato il figlio del ministro Giustizia per sospetta violenza domestica
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OCCHIELLO: Eric Dupond-Moretti, il padre: «Sono devastato, i miei pensieri vanno alla vittima». La compagna ha dichiarato alla polizia di aver ricevuto pugni e calci dal partner
TESTO: PARIGI Raphaël Dupond-Moretti, figlio del ministro della Giustizia francese, è stato posto in custodia cautelare per violenze sulla compagna. Un arresto che mette in imbarazzo il Guardasigilli Eric Dupond-Moretti, contestato dalle femministe al momento della sua nomina nel 2020 per alcune frasi giudicate maschiliste. Peraltro lo stesso ministro Dupond-Moretti poche settimane dopo l’ingresso al governo, p romuovendo una legge per proteggere le vittime di violenza coniugale, assicurò della sua «determinazione a condurre una lotta implacabile contro il flagello delle violenze in seno alla coppia». I fatti contestati al figlio Raphaël Dupond-Moretti sono accaduti giovedì nella stazione sciistica di Courchevel, in Savoia. Una vicina di casa ha chiamato i gendarmi dopo che la compagna dell’uomo si è rifugiata da lei, dicendo di avere ricevuto pugni e calci. All’arrivo degli agenti Raphaël Dupond-Moretti non era presente, ma si è presentato più tardi in gendarmeria, dove è stato trattenuto per sospette «violenze su congiunto». L’inchiesta è affidata alla procura di Albertville, che potrebbe chiedere una comparizione immediata, una convocazione successiva davanti al tribunale o anche archiviare il procedimento. «In qualità di padre sono devastato – ha detto il ministro a Bfmtv -. I miei pensieri vanno alla vittima, qualsiasi violenza è intollerabile. In qualità di ministro non smetterò di lottare contro le violenze sulle donne e per fare in modo che le loro parole vengano ascoltate. Infine, in qualità di cittadino, chiedo che venga rispettata la mia vita famigliare. Spetta ormai alla giustizia fare il suo lavoro». Dupond-Moretti, avvocato principe del foro fino alla sua nomina a ministro, ha fatto sapere che prendere tutte le distanze possibili dal dossier che riguarda il figlio, in modo da non influenzare il corso dell’inchiesta. La vicenda giudiziaria come è evidente riguarda solo il figlio e il ministro non ha alcuna responsabilità, ma dal punto di vista politico i fatti di Courchevel lo mettono oggettivamente in imbarazzo. «Sono franco-italiano, ho la doppia nazionalità. La mia latinità mi ha portato a sgarrare un po’, da giovane ho fischiato qualche ragazza che attraversava la strada. .. E una sciocchezza simile oggi costerebbe 90 euro? Ma è una cosa da pazzi, queste cose vanno affidate alle buone maniere, non alla legge», aveva detto Dupond-Moretti quando faceva ancora l’avvocato e la futura collega di governo Marléne Schiappa faceva approvare la legge contro le molestie per strada (2018). Per frasi come questa, al momento della sua nomina a ministro, le femministe francesi organizzarono manifestazioni di protesta e su Le Monde venne pubblicato un intervento firmato da 91 intellettuali e militanti femministe di 35 Paesi, tra le quali l’iraniana Shirin Ebadi (premio Nobel per la pace 2003) e la bielorussa Svetlana Alexievitch (Nobel per la letteratura 2015). «Ha pronunciato frasi apertamente sessiste, ha attaccato il #MeToo, ovvero il movimento sociale planetario portatore di tante speranze di uguaglianza – si leggeva nel testo -. Dupond-Moretti promuove la cultura dello stupro, minimizzando, banalizzando e distorcendo le violenze sessiste e sessuali». Che il figlio Raphaël ora sia accusato di avere colpito la compagna a calci e pugni non lo aiuta certo a migliorare la propria immagine su questi temi. Forse anche per questo, prima ancora dei primi risultati dell’inchiesta, il ministro si è affrettato a prendere immediatamente le distanze dal figlio e a manifestare solidarietà alla sua compagna.
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TITOLO: Memphis, il video dell’arresto di Tyre Nichols: cinque poliziotti arrestati
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OCCHIELLO: L’uomo aveva 29 anni e un figlio di 4. Era al volante. È stato arrestato, preso a pugni e calci da cinque poliziotti — afroamericani, come lui — ed è morto poco dopo
TESTO: Nichols era al volante della sua auto il 7 gennaio quando cinque poliziotti, anche loro neri, lo hanno fermato e picchiato brutalmente. I genitori hanno mostrato una foto del figlio in ospedale, privo di coscienza e con la faccia gonfia per le botte, scattata il 10 gennaio, prima che morisse. Cerelyn Davis, la prima donna nera a guidare la polizia di Memphis, dopo aver visto il filmato ripreso dalle bodycam degli agenti, lo ha definito un «fallimento dell’umanità». Tutte le autorità hanno condannato l’accaduto come «un crimine». L’Fbi e il dipartimento di Giustizia hanno aperto un’inchiesta sul caso.
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TITOLO: Ha un attacco di panico in aereo, lo steward la tranquillizza prendendola per mano (e il web si adopera per ricompensarlo)
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OCCHIELLO: «Azioni come questa vanno celebrate», ha scritto l'autrice dello scatto, realizzato su un volo Delta Air Lines da Charlotte a New York interessato da alcune turbolenze. Aperta una raccolta fondi, già donati oltre 2.300 dollari
TESTO: Le mani che si stringono, gli sguardi che si incrociano. Da lato Floyd Dean-Shannon, assistente di volo di Delta Air Lines, dall’altro una passeggera reduce da un attacco di panico. È diventata virale la fotografia condivisa sabato 14 gennaio su Facebook da una donna del Nord Carolina di nome Molly Lee, abile a immortalare un momento di sincera empatia a bordo di un aereo diretto da Charlotte a New York. Tutto era infatti iniziato qualche minuto prima, quando la viaggiatrice era scoppiata in un pianto a dirotto a causa delle ripetute turbolenze. Lui aveva provato a calmarla, a farle capire che era tutto sotto controllo, ma niente da fare: gli scossoni provocati dal vento l’avevano letteralmente terrorizzata. L’uomo aveva quindi deciso di compiere un gesto non previsto dal protocollo: sedutosi lungo il corridoio, le aveva preso la mano e, sorridendole, le aveva nuovamente spiegato che non c’era nulla da temere. A quel punto Molly, dalla fila retrostante, ne aveva approfittato per realizzare lo scatto «rubato».
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TITOLO: Il «no» di Erdogan alla Svezia nella Nato: quanto l’Occidente è disposto a difendere la libertà di espressione?
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OCCHIELLO: Il presidente turco è in piena campagna per la sua rielezione e il rischio di perdere è reale. Per rimontare le sta provando tutte
TESTO: L’allargamento della Nato con l’adesione di Finlandia e Svezia è stato considerato come uno dei maggiori disastri geopolitici creati da Putin, un autogol formidabile, conseguenza della sua invasione dell’Ucraina che ha generato insicurezza in tutta l’Europa, fino a spingere fuori dalla loro antica neutralità i due paesi nordici. Ma l’allargamento è fermo, bloccato dal veto di Recep Tayyip Erdogan. Prima il presidente turco pose delle condizioni sull’estradizione di alcuni curdi che lui considera terroristi. Ora rifiuta l’adesione della Svezia in seguito ad una manifestazione di protesta che si è tenuta a Stoccolma, dove un politico di estrema destra (peraltro danese) ha bruciato un’immagine del profeta Maometto. Il no di Erdogan alla Svezia sta convincendo la Finlandia a portare avanti la sua candidatura da sola. L’ostacolo riporta in primo piano il «problema turco» della Nato. Ankara è un membro strategicamente importante dell’Alleanza atlantica, con 84 milioni di abitanti è la seconda nazione più popolosa della Nato (di poco sopra la Germania), e presidia il fianco sud-orientale, vicino a paesi ostili come Russia e Iran. Ma negli ultimi anni è un membro sempre più indisciplinato, attratto da un rapporto privilegiato con la Russia. È anche l’unica nazione islamica della Nato, e le concessioni di Erdogan all’ala fondamentalista mettono in discussione principi fondamentali di un’alleanza fra nazioni democratiche. Quanto l’Occidente è disposto a difendere il principio della libertà di espressione? Un dubbio è stato sollevato di recente anche da un episodio accaduto in una università americana. L’immagine di Maometto bruciata in piazza a Stoccolma è l’ultimo casus belli usato da Erdogan per far valere il suo diritto di veto sulle nuove adesioni alla Nato. Il governo svedese si è affrettato a condannare quel gesto. Peraltro ha spiegato che non poteva impedirlo, in base alle leggi svedesi. La durezza della reazione di Erdogan – che incolpa il governo di Stoccolma per il gesto di un privato cittadino, per di più straniero – si spiega con il fatto che il presidente turco è in piena campagna per la sua rielezione. Si vota il 14 maggio, sia per la presidenza che per il Parlamento. Stando ai sondaggi, per Erdogan il rischio di perdere è reale. La situazione economica sotto la sua gestione è disastrosa. Membro del G-20, la Turchia ebbe anni fa un miracolo economico che oggi è un pallido ricordo. La sua inflazione l’anno scorso ha toccato un massimo dell’85% e a dicembre era del 65%, nel G20 la supera solo l’inflazione argentina. La lira turca ha perso due terzi del suo valore rispetto al dollaro. Per rimontare nel consenso popolare Erdogan le sta provando tutte. Ha aperto a dismisura i cordoni della spesa pubblica con elargizioni assistenziali a tutto campo: ha aumentato il salario minimo del 55%, gli stipendi dei pubblici dipendenti del 30%, ha distribuito prestiti agevolati a commercianti e piccole imprese, ha sospeso l’età minima pensionabile autorizzando 1,5 milioni di turchi a incassare la pensione in anticipo. A quest’orgia di spesa pubblica si aggiungono offensive contro i suoi principali rivali politici. Per esempio, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, che nei sondaggi supera Erdogan, è stato investito da una raffica di azioni giudiziarie per impedirgli di partecipare alle elezioni. La deriva autoritaria di Erdogan, che si appoggia anche sulle correnti più reazionarie del clero islamico, è il versante interno del suo comportamento verso la Svezia. Ed è un tallone di Achille per l’alleanza atlantica: non può fare a meno di un paese situato in una posizione così strategica, ma al tempo stesso deve contraddire i principi del suo atto costitutivo che descrive la Nato come un’alleanza fra democrazie. La Turchia rimane per molti aspetti una democrazia, tant’è che Erdogan potrebbe non essere rieletto; però i principi fondamentali dello Stato di diritto, della libertà di espressione e di opposizione, dell’indipendenza della magistratura, hanno subito attacchi sempre più frequenti. Ma quanto l’Occidente è disposto a difendere la libertà di espressione in casa propria? Un episodio recente avvenuto in una università americana lascia dei dubbi. Una docente di storia dell’arte, Erika Lopez Prater, è stata licenziata dalla Hamline University (Saint Paul, Minnesota) per presunta «islamofobia». Cos’aveva fatto? Durante un corso sull’arte islamica del XIV secolo aveva mostrato delle raffigurazioni di Maometto: l’Islam a quel tempo era assai più tollerante di oggi e i suoi artisti furono autorizzati a dipingere la figura di Maometto. La professoressa Prater, tra l’altro, pur limitandosi a mostrare arte islamica del passato, quando le autorità religiose non consideravano blasfeme quelle rappresentazioni, aveva preceduto il suo corso con l’avvertenza che avrebbe mostrato immagini che potevano urtare la sensibilità religiosa di qualcuno. Quindi chi non voleva poteva assentarsi da quella lezione. Ma è bastato che una militante di un’associazione di studentesse islamiche la denunciasse, e l’autorità accademica ha licenziato la docente. «Islamofobia» è diventata un’accusa che si trasforma in una sentenza presa sulla pubblica piazza, dove gruppi di attivisti possono negare la libertà di espressione, e le burocrazie obbediscono. Sarà un caso, ma il veto di Erdogan all’ingresso della Svezia nella Nato non sta ricevendo un’attenzione enorme sui media americani. Forse per imbarazzanti analogie con il clima di certe università americane.
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TITOLO: Re Carlo e i principi, volontari per un giorno all’Incoronazione di maggio
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OCCHIELLO: E’ stato chiamato The Big Help Out. Sarà il gran finale della tre giorni di celebrazioni, il momento più vicino al cuore del nuovo Re, volontario della prima ora sin dagli anni ‘70
TESTO: Se il 6 e 7 saranno il climax con l’incoronazione solenne a Westminster, capi di stato e i reali da tutto il mondo, le sfilate reali con cocchi e carrozze, e poi il 7 sarà un grande momento musicale a Windsor con il meglio dei miti pop e rock del Regno Unito, l’8 ultimo giorno della tre giorni di festeggiamenti, sarà quello che meglio interpreterà forse i pensieri e i progetti del nuovo Re che come racconto nel nuovo «Carlo III, il cuore e il dovere del Re» (Cairo) investì la sua prima buonuscita (dopo il servizio in Marina) per il suo primo progetto sociale.
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TITOLO: Attentato a Gerusalemme, spari davanti a una sinagoga: almeno sette morti. Ucciso terrorista
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OCCHIELLO: Terrore nel sobborgo di Neve Yaakov al termine di una funzione religiosa. La polizia: l’attentatore è palestinese. Gli Usa condannano «l’ orribile» attacco
TESTO: Itamar Ben Gvir, neo-ministro per la Sicurezza Nazionale, si è presentato subito sul luogo dell’attentato. In passato ha invocato la pena di morte per gli attentatori, ora è al governo e la supervisione delle mosse israeliane spetta anche a lui. I suoi sostenitori mercoledì sera hanno marciato attraverso le vie della Città Vecchia e qualche slogan lo accusava di essere troppo morbido con Hamas: è stato eletto con una campagna incentrata sulla sicurezza, sfoderando la pistola che porta sempre con sé. A Neve Yaakov il ministro, che è anche leader del partito di ultra destra Otzmà Yehudit («Potenza ebraica») è stato accolto da manifestazioni di collera: «Morte agli arabi! Morte ai terroristi» hanno scandito i dimostranti. «Il governo deve reagire» ha risposto il ministro. In serata è arrivato sul posto anche il premier Benjamin Netanyahu. «È uno dei peggiori attacchi, agiremo con decisione» ha detto il premier.
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TITOLO: Iran, una donna incinta condannata a morte: «Ha offeso Khomeini»
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OCCHIELLO: Shahla Abdi, 22 anni, al quarto mese di gravidanza, da metà ottobre è rinchiusa in un carcere a Urmia. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto un’azione urgente
TESTO: Non si sa dove la giovane sia detenuta al momento. Tra ottobre e novembre sarebbe stata tenuta in isolamento nel penitenziario centrale di Urmia ma dopo sarebbe stata trasferita nella prigione di Tabriz o nel centro di detenzione del ministero dell’Intelligence. «Io l’ho vista — ha raccontato ad Iran Wire una detenuta —, sembrava molto giovane ma debole e maltrattata, ed era incinta di quattro mesi». Il giornale online racconta che Abdi è sempre guardata a vista e viene accompagnata da due agenti ovunque vada. La notizia ha destato scalpore nel mondo. Su Twitter, Facebook e Instagram si moltiplicano gli appelli per salvare la ragazza. Secondo Al Arabiya, due giorni fa, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto «un’azione urgente» per contrastare la sentenza.
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TITOLO: Il marine ucraino: «I russi arrivano a ondate, i Leopard sono essenziali. Impareremo in fretta, la guerra accelera tutto»
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OCCHIELLO: Il consigliere alla Difesa: fidatevi di noi, ve l’abbiamo già provato
TESTO: Oleksii Hodzenko ha ancora negli occhi l’ultima volta che è stato sul campo di battaglia. «Non si vedeva più un filo d’erba, solo cadaveri di soldati russi. È che loro combattono così, come nel videogioco Starcraft dove nella guerra tra i popoli galattici ci sono zergling che non usano macchine, ma solo i loro corpi. I russi lo stesso: ondate di carne, una dopo l’altra». Marine, 31 anni, durante la ritirata da Mariupol ha resistito 5 giorni con la sua unità per poi ritirarsi. «Avevamo solo blindati, mentre loro avevano tank, elicotteri, artiglieria, non potevamo farcela e abbiamo ripiegato per non sacrificare le vite. Noi facciamo così. I russi invece hanno lo stesso modello sovietico della Seconda guerra mondiale: ondate di soldati a perdere. Ecco, vi faccio vedere cos’era Vuhledar ieri sera». Il consigliere del ministro della Difesa ucraino cerca nel cellulare un filmato preso da un drone. Si vede una città, con cinque o sei focolai d’incendio. «È Vuhledar, vicino a Donetsk, in Donbass: incendi dappertutto, case diroccate, continui tiri d’artiglieria. E i russi che vengono avanti senza copertura, senza nascondersi dietro gli alberi, senza aspettare la notte. Salgono su un blindato e partono perché gli dicono “dovete prendere Vuhlevar”. La raderanno al suolo come hanno fatto con Soledar, ma sarà un altro loro cimitero».
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TITOLO: Afroamericano ucciso, scoppiano proteste in molte città Usa
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OCCHIELLO: La diffusione del video che mostra la brutale aggressione a Tyre Nichols, 29 anni, da parte di cinque poliziotti neri ha innescato violenze in tutto il Paese
TESTO: Proteste sono scoppiate in numerose città degli Stati Uniti a seguito della diffusione dei video sull’ uccisione di Tyre Nichols da parte di cinque agenti della polizia a Memphis. Nella città del Tennessee — riferiscono i media locali — i manifestanti hanno bloccato il ponte dell’Interstate 55 che attraversa il fiume Mississippi e porta verso l’Arkansas. A Washington decine di manifestanti si sono radunati a Lafayette Park, vicino a Black Lives Matter Plaza, e in K Street mentre a Boston hanno marciato lungo Tremont Street, creando problemi al traffico cittadino. Radunate anche a Times Square, nel centro di New York, decine di persone: secondo quanto riferito dai media, sul posto è giunta la polizia e ci sono stati scontri con i manifestanti, conclusi con alcuni arresti. Un video diventato virale sui social mostra un manifestante che sale sul cofano di un’auto della polizia e distrugge a calci il parabrezza prima dell’intervento degli agenti. La Nbc segnala manifestazioni di protesta anche a Sacramento, San Francisco, Atlanta, Asheville, Filadelfia, Providence e Dallas.
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TITOLO: Usa, pestato a morte da agenti neri: il video choc scuote Memphis
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OCCHIELLO: Diffuso ieri dalla polizia il video dell’arresto di Tyre Nichols, 29 anni: è stato picchiato a morte dalla polizia che lo ha fermato per eccesso di velocità. Le sue ultime parole: «Mamma, mamma, mamma»
TESTO: Cruciali, più delle riprese delle bodycam, sono state quelle di una telecamera su un palo della luce nel quartiere: mentre sentiamo gli agenti mentire, ad un certo punto, come se parlassero alle loro bodycam affermando che il sospetto aveva cercato di strappare ad uno di loro la pistola, la telecamera dall’alto mostra la brutalità immotivata delle loro azioni. Usano un bastone di metallo estraibile, lo prendono a pugni ripetutamente, «uno lo prende a calci come fosse una palla da football», ha notato il padre Rodney Wells. «La cosa più significativa — per lui — è il fatto che ci sono forse dieci agenti e nessuno cerca di fermare il pestaggio di mio figlio, nemmeno dopo: fumano sigarette, come fosse tutto tranquillo. Lo appoggiano all’auto, lui si accascia e un agente grida: “Siediti, figlio di puttana”, ma è ammanettato. Lo devono tirare su, più di una volta. Ma nessuno gli presta soccorso».
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TITOLO: Reza Pahlavi: «In Iran è in corso una rivoluzione, io sono in campo. Con un regime democratico Teheran si allontanerebbe dalla Russia»
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OCCHIELLO: Reza Pahlavi, erede dello Scià, deposto dal regime degli Ayatollah, ha parlato al Tg5: «Un Iran democratico cambierebbe il mondo. Il nucleare non è adatto a noi. E i rapporti con Israele perderebbero ogni animosità»
TESTO: Pubblichiamo il testo dell'intervista che il Tg5 ha fatto a Reza Pahlavi, erede dello Scià, deposto 43 anni fa dal regime degli Ayatollah ed esiliato in Occidente. Reza Pahlavi, lei si propone come mediatore di una transizione democratica in Iran. Che cosa c'è di diverso nel movimento di protesta dopo la morte di Mahsa Amini? «Queste non sono proteste. Questa è una rivoluzione. È la prima rivoluzione della storia guidata dalle donne. Così come 43 anni fa furono le donne le prime vittime della rivoluzione khomeinista, trattate da allora come cittadine di serie B. Le proteste durano da anni, ma ora la gente davvero non ne può più. L'Iran è in miseria, i prezzi aumentano, il valore della moneta è crollato. E mentre il regime si riempie le tasche, la gente ha fame. Il regime islamico è totalitarista, razzista e fascista. Eppure alcuni continuano a trattare con loro nella speranza che diventino bravi ragazzi rispettosi dei diritti civili. Ecco perché le proteste continuano e la gente è disposta a morire. Ecco perché il popolo, per le strade e dietro le sbarre mentre aspetta la propria esecuzione, inneggia alla libertà. È ora che il mondo dica basta». Qual è il suo ruolo in questo processo? «Io sono in gioco dall'inizio, ma non aspiro a nessun incarico. Non voglio far parte di nessun apparato di Stato. Voglio continuare solo a stare dalla parte della mia gente e al loro fianco. Perché credo che costruire le istituzioni sia la garanzia per un ordine democratico duraturo. Un Iran democratico cambierebbe, rivoluzionerebbe il mondo». Lei aveva contattato l'amministrazione del presidente Usa Trump? E come vanno le cose con l'amministrazione Biden? «Noi vogliamo sensibilizzare tutti i governi, quello inglese, francese e quello italiano. Oggi Biden e domani chiunque sarà alla Casa Bianca. Lo capiscono tutti a Riad, a Gerusalemme, a Tel Aviv, che un Iran democratico sarebbe un elemento di stabilità per il mondo. Basta guardare l'asse di complicità dell'Iran con la Russia, quello che succede in Ucraina, l'avvento del radicalismo, lo spargersi del terrorismo e Dio solo sa che altro. Tutto questo sparirebbe istantaneamente nel momento in cui il regime iraniano diventasse un governo democratico». Interromperebbe il programma nucleare iraniano? «La decisione non sarebbe mia, ma di chi andrebbe al governo. Credo però che il nucleare non sia adatto all'Iran che è un territorio sismico. Ci sono altre tecnologie come l'energia solare dove investire e che produrrebbero più lavoro per il Paese. Il mondo dipende dagli approvvigionamenti energetici e l'Iran sarebbe un'ottima risorsa per tutti. Invece di spaventare il mondo e i nostri vicini con la minaccia nucleare, potremmo dire che l'Iran ha abbastanza gas naturale almeno per l'Europa, che così ogni inverno non dovrebbe più subire il ricatto di Putin». Riconsidererebbe il vostro rapporto, il rapporto dell'Iran con Israele che è un tassello fondamentale? «Il rapporto non va riconsiderato perché è un legame che risale a 25 secoli fa, da quando ogni Shabbat, il nome di Ciro il Grande viene invocato nelle preghiere ebraiche. Gli iraniani lo sanno e lo sanno anche gli israeliani. Perché ci dovrebbe essere animosità fra noi? Soffro quando sento dire che il problema è l'Iran, perché è questo regime che ha creato il problema, non il popolo iraniano».
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TITOLO: Nuovo attacco a Gerusalemme, tredicenne palestinese spara e ferisce un padre e un figlio
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OCCHIELLO: L’aggressore ferito da civili armati. L’esplosione di violenza rappresenta una prima sfida per il nuovo governo israeliano, dominato da ultranazionalisti che hanno spinto per una linea dura contro i palestinesi
TESTO: Gerusalemme si è addormentata ieri scossa dall’attentato sanguinoso davanti a una sinogoga e si è risvegliata stamattina nel giorno dello Shabbat, con un nuovo attacco. Un ragazzino palestinese di soli 13 anni ha sparato alle pendici delle mura della città vecchia, vicino al sito archeologico della Città di Davide, nella parte orientale della città. Due i feriti. A essere colpiti sono stati un padre e un figlio. Quest’ultimo, un 22enne volontario del servizio di emergenza Magen David Adom, versa in «gravi condizioni», hanno riferito le autorità. L’aggressore, identificato in Muhammad Aliyat, è stato subito neutralizzato, ferito da civili armati, riporta il Times of Israel. Non è noto alla polizia, ma sarebbe un parente di Wadi Abu Ramuz, ucciso dalla polizia per aver lanciato una molotov. Il portavoce della Jihad islamica Tariq Ezz El Din ha elogiato l’attacco. «Siamo in un vero stato di intifada armata, e questo è ciò che è necessario per porre fine all’occupazione». L’esplosione di violenza rappresenta una prima sfida per il nuovo governo israeliano, dominato da ultranazionalisti che hanno spinto per una linea dura contro i palestinesi, e getta un’ombra sulla visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken, in visita nella regione da domani. Giovedì, le forze israeliane erano entrate nel campo profughi di Jenin e ucciso nove palestinesi durante scontri con militanti, in un’operazione che l’esercito ha descritto come un tentativo di contrastare attacchi pianificati. Dopo il raid, le fazioni palestinesi hanno chiesto vendetta e hanno lanciato razzi dalla Striscia di Gaza.
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TITOLO: Il «no» di Erdogan alla Svezia nella Nato? Una sfida all’Occidente
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OCCHIELLO: Il presidente turco è in piena campagna per la sua rielezione e il rischio di perdere è reale. Per rimontare le sta provando tutte
TESTO: A quest’orgia di spesa pubblica si aggiungono offensive contro i suoi principali rivali politici. Per esempio, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, che nei sondaggi supera Erdogan, è stato investito da una raffica di azioni giudiziarie per impedirgli di partecipare alle elezioni. La deriva autoritaria di Erdogan, che si appoggia anche sulle correnti più reazionarie del clero islamico, è il versante interno del suo comportamento verso la Svezia. Ed è un tallone di Achille per l’alleanza atlantica: non può fare a meno di un paese situato in una posizione così strategica, ma al tempo stesso deve contraddire i principi del suo atto costitutivo che descrive la Nato come un’alleanza fra democrazie. La Turchia rimane per molti aspetti una democrazia, tant’è che Erdogan potrebbe non essere rieletto; però i principi fondamentali dello Stato di diritto, della libertà di espressione e di opposizione, dell’indipendenza della magistratura, hanno subito attacchi sempre più frequenti. Ma quanto l’Occidente è disposto a difendere la libertà di espressione in casa propria? Un episodio recente avvenuto in una università americana lascia dei dubbi. Una docente di storia dell’arte, Erika Lopez Prater, è stata licenziata dalla Hamline University (Saint Paul, Minnesota) per presunta «islamofobia». Cos’aveva fatto? Durante un corso sull’arte islamica del XIV secolo aveva mostrato delle raffigurazioni di Maometto: l’Islam a quel tempo era assai più tollerante di oggi e i suoi artisti furono autorizzati a dipingere la figura di Maometto. La professoressa Prater, tra l’altro, pur limitandosi a mostrare arte islamica del passato, quando le autorità religiose non consideravano blasfeme quelle rappresentazioni, aveva preceduto il suo corso con l’avvertenza che avrebbe mostrato immagini che potevano urtare la sensibilità religiosa di qualcuno. Quindi chi non voleva poteva assentarsi da quella lezione. Ma è bastato che una militante di un’associazione di studentesse islamiche la denunciasse, e l’autorità accademica ha licenziato la docente. «Islamofobia» è diventata un’accusa che si trasforma in una sentenza presa sulla pubblica piazza, dove gruppi di attivisti possono negare la libertà di espressione, e le burocrazie obbediscono. Sarà un caso, ma il veto di Erdogan all’ingresso della Svezia nella Nato non sta ricevendo un’attenzione enorme sui media americani. Forse per imbarazzanti analogie con il clima di certe università americane.
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TITOLO: Scorpion, l’unità speciale creata a Memphis per «riportare la pace», ora accusata di abusi e morte
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OCCHIELLO: Suoi i cinque agenti nel mirino per il brutale omicidio di Nichols. Il capo della polizia ne ordina la revisione. Ma la famiglia della vittima ne chiede lo scioglimento. «Con la scusa di contrastare il crimine opprimono i giovani e le persone di colore»
TESTO: I cinque poliziotti ripresi in video mentre si accaniscono su Tyre Nichols con pugni, calci e manganellate fanno parte di un’unità specializzata nella lotta al crimine: la Scorpion (Street Crimes Operation to Restore Peace in Our Neighborhoods). Creata poco più di un anno fa per riportare «la pace nei nostri quartieri» e fermare un’ondata di violenza crescente nella città, sono ora sotto accusa per aver pestato brutalmente fino alla morte un giovane 29enne fermato per eccesso di velocità. Pensata come unità d’élite di 40 agenti da schierare soprattutto nei quartieri più turbolenti, era considerata una parte così importante della strategia di lotta al crimine che il sindaco Jim Strickland l’aveva pubblicizzata nel suo discorso sullo stato della città un anno fa, in un momento in cui Memphis registrava un record di omicidi. Ora proprio quell’unità è sotto accusa per il brutale omicidio di Nichols. Un fatto «odioso, spericolato e disumano» l’ha definito il capo della polizia, Cerelyn Davis, l’uomo che creò la Scorpion nell’autunno del 2021 e ora ne ha ordinato ora una revisione. Misura insufficiente per l’avvocato della famiglia Nichols, Antonio Romanucci, che ne chiede lo scioglimento. L’accusa è pesantissima, anche perché non circoscritta a questo singolo drammatico evento: gli agenti Scorpion che imperversano nei quartieri con il pretesto di combattere il crimine finiscono per opprimere i giovani e le persone di colore, spesso operando nell’impunità, attacca. «L’intento era buono. Il risultato finale è stato un fallimento» conclude senza mezzi termini. Ben Crump, un altro avvocato della famiglia, ha affermato che l’unità di Memphis aveva già usato in passato una forza eccessiva, sproporzionata. E riporta il caso di un uomo di 66 anni che pochi giorni prima era stato picchiato e minacciato con la pistola da uno di questi agenti mentre stava andando a prendere una pizza. «Crediamo che questo fosse uno schema e una pratica, e Tyre è morto perché quel modello e quella pratica non sono stati controllati da chi lle persone che avrebbero dovuto controllarlo”, ha denunciato Crump. Ha invitato i funzionari federali a indagare su tali squadre e sulle loro tattiche.
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TITOLO: Il piano per la Russia post Putin (ideato dai due arcinemici di Putin)
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OCCHIELLO: L’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov e l’ex oligarca titolare della Yukos ed ex prigioniero politico Mikhail Khodorkovsky sostengono che il mondo non debba aver timore di una Russia senza lo «zar» al comando
TESTO: Entro due anni dallo scioglimento del regime di Putin, i russi eleggeranno un’assemblea costituente per adottare una nuova Costituzione e determinare un nuovo sistema di organi regionali. Ma a breve termine, prima che l’assemblea possa insediarsi, sarebbe necessario un consiglio di Stato transitorio con poteri legislativi per sovrintendere a un governo tecnocratico temporaneo. Il suo nucleo sarebbe composto da russi impegnati per lo stato di diritto, da chi ha pubblicamente sconfessato la guerra di Putin e il suo regime illegittimo. La maggior parte è stata costretta all’esilio, dove siamo stati liberi di organizzare e creare una società civile virtuale in contumacia. Tali preparativi ci consentiranno di agire rapidamente e di collaborare con le potenze occidentali, della cui cooperazione il nuovo governo russo avrà bisogno per stabilizzare l’economia. Subito dopo aver assunto il potere, il consiglio di Stato concluderà un accordo di pace con l’Ucraina, riconoscendo i confini del Paese del 1991 e risarcendolo per i danni causati dalla guerra di Putin. Il consiglio di Stato rifiuterà anche formalmente le politiche imperiali del regime di Putin, in Russia e all’estero, anche cessando ogni sostegno formale e informale alle entità filo-russe nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. E metterebbe fine al confronto di lunga data fra la Russia e l’Occidente, passando invece a una politica estera basata sulla pace, sul partenariato e sull’integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche. Sul fronte interno, il consiglio di Stato inizierebbe a smilitarizzare la Russia, riducendo le dimensioni delle forze armate e, di conseguenza, il costo del loro mantenimento. Dissolverebbe anche gli organi dello stato di polizia di Putin, compreso il servizio repressivo di sicurezza federale e il Centro per la lotta all’estremismo, e abrogherebbe tutte le leggi repressive adottate durante il governo di Putin. Tutti i prigionieri politici verrebbero rilasciati e completamente riabilitati e verrebbe adottato un programma di amnistia più ampio per ridurre il numero complessivo di prigionieri in Russia. Il Consiglio di Stato avvierebbe anche il processo di decentramento del Paese, trasferendo alle Regioni ampi poteri, anche in materia di bilancio.
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TITOLO: «Guerra Usa-Cina nel 2025»: la previsione del generale americano in un memorandum riservato
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OCCHIELLO: Gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi in una guerra con la Cina entro due anni: a lanciare l'allarme, in un rapporto confidenziale, è Mike Minihan, capo dello US Air Mobility Command. Intanto Xi Jinping incarica il suo ideologo di trovare una nuova idea per la riunificazione di Taiwan
TESTO: Xi Jinping in questi giorni non ha tempo né interesse per parlare in pubblico di Taiwan. Sta gestendo l’uscita drammatica alla politica Covid Zero, con l’ondata di contagi e di morti in Cina e cerca di ridare slancio all’economia. Ha bisogno, almeno in questa fase, anche di una tregua con Joe Biden. Ma non dimentica l’ambizione di consegnarsi alla storia come il grande leader che «ha restituito» Taiwan alla madrepatria cinese. Quando il generale Minihan dice che a ottobre il leader comunista «ha costituito un consiglio di guerra», si riferisce al fatto che 15 dei 24 membri del suo nuovo Politburo hanno avuto esperienza diretta nella gestione (militare o politica) della questione taiwanese. Oltre ai generali e ai mandarini, c’è un ex professore universitario da tenere d’occhio. Si tratta di Wang Huning, 67 anni, considerato il più raffinato ideologo del Partito comunista cinese. A ottobre è stato promosso numero 4 nella gerarchia del Politburo. Secondo voci raccolte da «Nikkei», che ha buone fonti a Pechino, Xi Jinping avrebbe affidato al «cervellone» della Repubblica popolare la missione di coordinare la strategia di riunificazione di Taiwan. Non dal punto di vista militare, per questo Xi ha inserito nel nuovo gruppo dirigente del Partito una serie di militari con diretta esperienza del teatro di operazioni intorno all’isola da riunificare. Wang Huning dovrebbe invece elaborare una nuova proposta politica, dopo che il modello «Un Paese due sistemi» è diventato inaccettabile per i taiwanesi, i quali hanno visto come è finito a Hong Kong: repressione, cancellazione dell’opposizione democratica, riduzione delle libertà economiche. Per chiudere la partita a Hong Kong, Xi Jinping ha consapevolmente ucciso la possibilità di convincere «i compatrioti taiwanesi» ad accettare un compromesso che preveda la sovranità di Pechino sulla «provincia». Da tempo il leader comunista non cita la formula «Un Paese due sistemi» che era stata lanciata da Deng Xiaoping per ottenere nel 1997 la restituzione. È ipotizzabile che voglia tentare una strada propria per coronare il sogno della riunificazione. Wang Huning a marzo dovrebbe essere nominato vicedirettore del Gruppo guida centrale sugli Affari di Taiwan, l’organo che decide la strategia verso l’isola. Il Gruppo guida è diretto da Xi. Il cervellone ideologico Wang dovrebbe elaborare una nuova strategia per rilanciare il dialogo politico con il governo di Taipei. Wang è un ex accademico, politologo della prestigiosa università Fudan. Ed è il sommo ideologo del Partito. Un uomo che ha messo la sua mente raffinata, colta e cinica al servizio del potere sotto gli ultimi tre segretari generali, da Jiang Zemin a Hu Jintao e poi Xi. Si dice che tutte le formule del Pensiero di Xi siano state discusse con questo studioso che parla pochissimo in pubblico. Ma è svelto di riflessi e di mano, come ha dimostrato al Congresso di ottobre, nei momenti drammatici dell’espulsione del vecchio Hu Jintao dalla Grande sala del popolo. L’ideologo Wang era seduto due posti alla sinistra dello sfortunato Hu (forse malato, sicuramente umiliato) e ha trattenuto tirandolo per la giacca il compagno Li Zhanshu che voleva alzarsi per sostenere fisicamente l’ex segretario generale. Il gesto e l’espressione del volto di Wang dicevano al compagno generoso e forse ingenuo: «Non ti esporre, non è affar tuo».
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TITOLO: Una vasca da bagno per «scagionare il principe Andrea»: «Molestie a Virginia Giuffre lì dentro? Impossibile»
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OCCHIELLO: La famiglia di Ghislaine Maxwell, la donna legata al finanziere Jeffrey Epstein nello scandalo sessuale che ha coinvolto anche il principe, ha messo a disposizione una foto della vasca dove, secondo Giuffre, si sarebbero svolte le molestie: «È troppo piccola»
TESTO: E una settimana fa, come riportato dal «Guardian», proprio Ghislaine Maxwell aveva messo in dubbio l’autenticità dell’ormai «famosa» foto che ritrae Andrea e la ragazza allora minorenne abbracciati. «E’ un falso. .. non c’è mai stato un originale e non c’è mai stata una foto. Ho solo visto una fotocopia di questa», ha dichiarato dal carcere americano dove sta scontando la sua pena la Maxwell alla giornalista tv Daphne Barak per TalkTv. Andrea, intanto, aveva raggiunto nel febbraio di un anno fa un accordo extra-giudiziale con la sua accusatrice: «Questo vuol dire», come scriveva il Corriere qui, «che Andrea non dovrà affrontare un processo in tribunale per violenza sessuale, una eventualità che rischiava di trascinare nel fango tutta la famiglia reale britannica. Giuffre aveva detto in precedenza che non avrebbe accettato di ritirare la causa civile intentata contro Andrea in cambio di soldi, perché reclamava giustizia per sé e per le altre vittime di abusi sessuali. Le parti hanno annunciato di aver raggiunto un “accordo di principio”, il cui ammontare non è stato rivelato: di conseguenza, il procedimento legale sarà lasciato cadere». Giuffre aveva denunciato il principe nell'agosto 2021, sostenendo di essere stata violentata da lui oltre vent’anni fa, quando aveva solo 17 anni: Virginia era una delle ragazze vittime del magnate pedofilo Epstein e della sua amante e complice Ghislaine Maxwell. Andrea ha sempre negato ogni accusa, sostenendo di non ricordare neppure di aver mai incontrato la sua presunta vittima. In questi giorni ha fatto notizia la ristrutturazione del suo vecchio pied à terre a Buckingham Palace (quello dove teneva a sua famosa collezione di teddy bear). Il fatto è che il palazzo, con l’arrivo di re Carlo, ha accelerato il piano di ristrutturazione interno in vista anche dei progetti che il nuovo sovrano nutre per la storica reggia. Resta piuttosto un grande punto interrogativo sul futuro del Royal Lodge. È la residenza nel parco del castello di Windsor dove da anni risiede Andrea assieme alla ex moglie Sarah Ferguson.
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TITOLO: L'aiuto cinese alla Wagner: un'azienda di Pechino ha fornito ai mercenari foto satellitari dell'Ucraina
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OCCHIELLO: Gli Stati Uniti hanno accusato e sottoposto a sanzioni Spacety China, società che sviluppa tecnologia spaziale, per aver fatto arrivare ai combattenti della brigata Wagner immagini satellitari, usate per selezionare i bersagli nel conflitto
TESTO: DAL NOSTRO CORRISPONDENTE DA PECHINO— C’è la mano di un’azienda (privata) cinese dietro i mercenari russi della Wagner in Ucraina. Gli Stati Uniti hanno accusato e sottoposto a sanzioni Spacety China, una società che sviluppa tecnologia spaziale e che avrebbe fatto arrivare ai combattenti della Wagner immagini satellitari del territorio ucraino, utilizzate per selezionare i bersagli nella guerra. Spacety China (nome completo Changsha Tianyi Space Science and Technology Research Institute) è finita nella lista nera del Dipartimento del Tesoro americano: le sanzioni vietano qualsiasi collaborazione commerciale o tecnologica con l’azienda, che ha il quartier generale a Pechino e una filiale in Lussemburgo (anche questa metta sotto embargo da Washington). Secondo l’indagine americana, il gruppo cinese avrebbe fornito le foto satellitari del territorio ucraino a Terra Tech, un’azienda russa, che a sua volta le avrebbe passate al comando della Wagner. Tecnicamente le immagini riprese dai satelliti cinesi si definiscono «aiuti non letali», perché non si tratta di armi o munizioni. Ma il rapporto del Tesoro americano ricorda che le foto «hanno consentito alla Wagner di pianificare attacchi e combattimenti in Ucraina» (anche l'esercito di Kiev ha a disposizione grazie al sostegno occidentale immagini dello schieramento russo che permettono attacchi di precisione).
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TITOLO: Doppio attentato contro i diplomatici italiani a Barcellona e Berlino: scritte, auto bruciate e slogan anarchici
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OCCHIELLO: «Cospito libero»: l’Italia di nuovo al centro di azioni dimostrative dopo l’attentato di Atene. Tensioni in piazza a Roma, ferito un agente
TESTO: Il primo attacco avviene quando a Barcellona sono trascorse da poco le 22 di venerdì. Cinque uomini incappucciati, ripresi dalle telecamere di sicurezza, sfondano con barattoli di vernice rossa la vetrata d’ingresso del palazzo che ospita il consolato generale italiano nella città. Poi imbrattano una parete esterna dell’edificio con tre scritte in catalano a vernice nera: «Italia Stato assassino», «Libertà per Cospito» e «Amnistia totale», la traduzione. Passano poche ore. Alle 3 di notte, un residente del quartiere Schöneberg, zona sudoccidentale di Berlino, chiama la polizia: due auto sono in fiamme. I vigili del fuoco intervengono, domano l’incendio. Una delle due auto è una berlina con targa diplomatica di un funzionario in servizio all’ambasciata italiana, appartiene al primo consigliere Luigi Estero. «Fortunatamente non si registrano danni a persone», si legge nel comunicato che la Farnesina pubblica nella prima mattinata di ieri. «Il ministro Antonio Tajani — continua la nota — ha immediatamente contattato l’ambasciata di Berlino e il consolato di Barcellona per esprimere la propria solidarietà e ha chiesto che venga fatta al più presto piena luce sulle dinamiche di questi atti criminosi». Un paio d’ore più tardi è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a commentare su Twitter: «Il governo segue con preoccupazione e attenzione questi nuovi casi di violenza nei confronti dei nostri funzionari e delle nostre rappresentanze diplomatiche».
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